Non se lo aspettava nessuno. Ne governi né massmedia; nè associazioni di categoria né sindacati; men che meno quelli che comandano a Bruxelles. Ma è successo. Hanno acceso i motori, hanno bardato le simpaticissime mucche con le bandiere nazionali e si sono mossi da tutta Europa verso Bruxelles. Hanno poche idee ma molto chiare. La terra nutre gli uomini. Noi lavoriamo la terra che è fonte di vita biologica oltre che di profitto finanziario. La lavoriamo per dare cibo a tutti ma anche un futuro ai nostri figli (perché in agricoltura spesso la famiglia è anche azienda). Alcuni striscioni indicano in modo semplice la loro filosofia: «Senza di noi ci saranno carne sintetica, grilli, cavallette e vermi: buon appetito!».

 E così sono partiti con il loro trattori e la rabbia in corpo contro chi, complice del maltusianesimo dominante e lucrando stipendi da favola, li strozza da Bruxelles in ossequio all’ideologia verde che mira all’impoverimento dell’umanità. Hanno bloccato strade e città, hanno creato problemi di ordine pubblico, eppure … stranamente la gente li applaude; stranamente un’ondata di simpatia nei loro confronti  pervade l’opinione pubblica (era già avvenuto 12 anni fa con la rivolta dei “forconi”). 

Cos’è successo? Dice Danilo Cavani, uno dei leader della protesta: “Quando la pazienza finisce, quando la tua libertà viene calpestata, scendi in campo e comincia a lottare”. Lo hanno fatto con una determinazione ed un coordinamento sorprendenti, e continuano con la tenacia e la capacità di sacrificio che solo i contadini sanno avere. Forse è per questo che suscitano simpatia; grazie ai loro accampamenti improvvisati, alla notti passate all’addiaccio, ai loro animali anch’essi in marcia, alla loro semplicità. Il nemico è questa Europa matrigna e tiranna che impone regole demagogiche e ideologiche (non soltanto ai contadini) in barba ai bisogni della gente reale di cui nulla le interessa. Un’europa che sa solo emettere diktat contro i quali il mondo agrario ancora una volta si ribella: “Sopra il campo la capra campa, sotto lo stato la capra crepa”.

Ma come si spiega l’ondata di simpatia di coloro che contadini non sono? Forse una profonda, inconscia, apparentemente inspiegabile nostalgia verso un mondo semplice, di leggi naturali, dove il lavoro non è in smart working, ma puzza (oppure odora?) di stalla, dove la famiglia è coesa in un unico sforzo produttivo esteso a più generazioni, dove ci si sposa con i vicini che si conoscono e non si ha il tempo o la voglia di divorziare, ed ogni figlio che arriva è una festa. In esso la patria non è un ideologia; come diceva  François de Charette, uno dei capi dei contadini vandeani:  “Per loro, [i rivoluzionari francesi, ndr] sembra che la patria non sia che un’idea; per noi, è un terra. Loro, ce l’hanno nel cervello: noi la sentiamo sotto i nostri piedi, è più solida.”

I trattori sono portatori di una visione dell’uomo e del mondo alternativa alla postmodernità. Quanto ne sono consapevoli? Un altro striscione recita:“non saremo mai come volete voi”. Ma ne sono consapevoli i loro avversari che trattengono a stento il loro disprezzo. Essi avvertono che accanto al lezzo della stalla c’è un profumo di Vandea che può creare seri problemi ai globalismi europei e mondiali. Essi temono quanto diceva in Vandea , più di due secoli fa, il già citato François de Charette: “È vecchio come il diavolo il loro mondo che dicono nuovo e vogliono fondare sull’assenza di Dio. Si dice che siamo i fautori delle vecchie superstizioni… Fanno ridere! Ma di fronte a questi demoni che rinascono di secolo in secolo, noi siamo la gioventù, signori! Siamo la gioventù di Dio. La gioventù della fedeltà!“

Visione trascendente, amore per i principi naturali: questi saranno ancora i valori dai quali può sperare di rinascere questo occidente svirilizzato e volgente al tramonto. E i trattori, anche inconsapevolmente, marciano in questa direzione, suscitando l’eco di un mondo, lontano nel tempo ma dormiente nei cuori e nella memorie dei popoli.

 Diego Torre