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Durante la personale itinerante “SOMNIANDO” sulle orme di Dante Alighieri – Le visioni dell’arte di Gabriella Lupinacci, decido di intervistare la pittrice che esce da un lungo periodo di riflessioni profonde e da una esperienza personale di vita, oltre la vita.

L’anteprima nazionale della Mostra debutta a Noto nell’estate 2021, con 50 opere di grandi dimensioni. È una giornata di pieno agosto: la temperatura sfiora i 46° gradi e siamo nel caos di un periodo post-covid difficile anche per gli spostamenti. Da poche settimane le nuove restrizioni si allargano anche ai luoghi della cultura: musei, palazzi storici, gallerie. E mentre molti operatori culturali desistono e rinunciano a progetti sui quali magari lavoravano da mesi, Gabriella va avanti con tenacia perché la cultura deve ricominciare e continuare a regalare emozioni ed esperienze. Non riesco a raggiungerla in quella circostanza e non ce la farò neanche a Palermo, in occasione della sua Personale a Palazzo Jung. L’appuntamento è solo rimandato e finalmente oggi, dopo oltre un anno, davanti ad un buon caffè, godendo dei primi raggi primaverili di una bella giornata di sole, incontro l’artista e le chiedo di raccontarmi la sua arte.

Paul Klee diceva “il colore ed io siamo una sola cosa”, sottolineando la sua sinergia con il colore: Gabriella Lupinacci, nelle sue opere, l’esplosione cromatica genera sensazioni molto forti nell’osservatore. Quanto della sua anima è nel colore delle sue tele?   

Il colore è sempre un’esperienza individuale coinvolgente e profonda. Racchiude in sé aspetti scientifici di ricerca, di fisica, di ottica. Tuttavia, la componente più importante è quella spirituale: il colore acquista un valore quasi mistico perché rivela la natura delle cose, la suprema manifestazione e quindi l’anima del mondo. È vero, Paul Klee e tanti altri Maestri come kandinskij, Marc, Macke attribuiscono all’arte un compito etico-superiore, una missione che consiste nel difendere e diffondere i valori del bello e del vero. Mi affido allora anch’io – con estrema umiltà – ai colori, per entrare in sintonia con l’universo interno ed esterno.

Il colore ha una forte matrice simbolica: è corretto affermare che la sua arte attinga ad una moderna visione onirica che nasce dal lato più profondo?      

Sicuramente i simboli sia associativi che primariamente emozionali, fanno parte del mio linguaggio visivo e della creazione artistica, ma è importante distinguere il valore simbolico fissato culturalmente dai tagli geometrici e dalle forme specifiche, e il simbolismo come sensazione immediata, primaria di libertà, ricerca emozionale ed evolutiva. Così mi piace calarmi nell’emozione pura e nelle concrezioni con spontanea sensibilità di sentimento più che con acume di intelletto. I surrealisti mi hanno insegnato il libero fluire del pensiero, l’accettazione di ogni aspetto apparentemente irrazionale che in realtà appartiene alle nostre forze nascoste e sottili.  

 La vita è fortemente condizionata dal sogno e anche l’esperienza di Dante lo è. Quanto è importante nel percorso creativo provare a connettere la dimensione esperienziale concreta del fare, con il lato profondo del nostro essere inconscio?      

Sogno e realtà sono due stati di coscienza opposti. È difficile capire la dinamica e l’intersezione fra i due nel momento creativo. Carl Gustav Jung direbbe con convinzione che la creatività della mente nello stato di veglia è una sintesi di pensieri che turbinano attraverso l’inconscio durante le ore di sonno. Io mi limito a dire che per me, esperienza reale ed inconscio si fondono in un’unica esigenza, figlia di intime vicende personali e collettive. Si tratta di un’urgenza creativa ed espressiva prorompente che comunque, anche per me, rimane avvolta nel mistero.

L’arte e l’esperienza del dolore: quanto è importante nell’ambito della creazione di un’opera pittorica, letteraria o artistica in generale, l’essere passati da quella “foresta oscura”, che se da una parte ci fiacca nel corpo, dall’altra spesso, ci fortifica nello spirito?   

Arte e dolore sono spesso collegati da un unicum. Nel mio caso il travaglio per liberarmi dal dolore fisico e convertirlo in gioia creativa è stato lungo e silenzioso: ho impiegato anni per trovare la forza interiore per raccontare il mio vissuto attraverso l’arte: unica strada per me di liberazione emotiva.


La tecnica polimaterica da lei utilizzata stimola trasversalmente i sensi – da quello visivo a quello tattile – e spesso porta alla voglia di esplorarla nel profondo, generando un dialogo con la luce, con le sagome e gli schizzi satinati. Nel suo tratto emerge la voglia di attingere ad una dimensione alchemica della materia per restituirne la magia all’osservatore. È così?   

Quello che amo è riempire grandi spazi di narrazioni e creare immagini corpose. Mi piacciono che siano evocative, simboliche e poetiche. Sento l’esigenza di usare nuovi materiali e di mescolarli tra loro. Mentre creo, entro in sintonia con la trasformazione della materia che si condensa o si liquefà davanti i miei occhi. Quando dipingo, mi estraneo completamente dalla realtà, simboli e figure antropomorfe presenti nel mio inconscio si materializzano ed io li fisso con impeto, modellandoli con spatole e pennelli, immergendoli istintivamente nella luce affinché siano messaggeri di “Rivelazioni” ed abbiano un impatto forte e visibile sulla mia mente al risveglio. Se tutto questo, o anche solo in parte, arriva all’osservatore, è già un grande risultato.

Uno degli aspetti che maggiormente colpisce nelle sue opere è la presenza dell’essere umano in viaggio e una dimensione globale che sembra a tratti comunicare il soffocamento dell’unicità individuale. La pandemia prima e la guerra dopo, quanto influiscono nella sua espressione artistica?  Gli esseri umani visibili o invisibili nelle mie opere sono compagni del mio viaggio ultraterreno. Hanno condiviso con me un gioco tra presenza e assenza. Hanno determinato una traccia della memoria, oltre che segni di una vita subconscia influenzata sicuramente anche dalle pagine dolorose della storia contemporanea, dove in realtà ci sentiamo impotenti, pedine umane nelle mani di disumani e insaziabili dominatori del mondo. La loro prevaricazione dettata dagli interessi economici e dalle ambizioni politiche, mira alla strage degli innocenti, ad annientare la libertà di scelta di chi sa intendere e volere e continua a seminare morte e terrore.   

Chi di noi non si è mai sentito violato nel profondo, nella propria identità, negli infiniti volti del sé?