La vicenda del quadro qui esposto mi sembra singolare e degna di essere raccontata alle nuove generazioni del piccolo ma prestigiosamente antico borgo gratterese.

Molti anni or sono, durante una visita occasionale allo studio del fotografo Cespa in via Porto Salvo in Cefalù, con mia sorpresa scorsi, tra le tante immagini esposte, proprio quella dello scorcio periferico del mio paese che qui mi piace mostrare. Mi sorprese il fatto che un forestiero avesse individuato in quello scorcio, attratto quasi certamente dalla bellezza del panorama che dal punto di osservazione poteva ammirarsi –  dalla campagna soprastante al paese di Campofelice al golfo di Termini Imerese e da lì lungo la costa tirrenica fino a monte Pellegrino – una veduta degna di memoria. Tanto che volle incorniciarla perché ne rimanesse memoria, a testimonianza anche della sua arte. Che effettivamente in questo quadro risalta anche all’occhio del profano.

Quello che colpisce il paesano di Gratteri è la sintesi della storia del paese che in esso viene rappresentata nei suoi diversi aspetti. A cominciare dall’attività primaria dei borghigiani, che era per l’appunto la pastorizia, come si evince dal frammento in primo piano di quello che era il recinto di un ovile, dove – nel lume dei miei ricordi – un allevatore di capre custodiva il suo gregge nelle ore notturne. Prima ovviamente che la sua area non fosse intersecata – come di fatto è avvenuto dal 1955 – dallo stradale per Gibilmanna nei pressi del cavalcavia prossimo all’edicola dell’Ecce Homo.

E giù da lì, proprio nel punto focale dell’immagine, spicca il segno della prestigiosa antichità del centro abitato, che si identifica col campanile normanno affiancato alla chiesa del Convento. Un segno che dice abbastanza sulla datazione storica del borgo; il quale certamente aveva una sua importanza anche in epoca precedente alla conquista normanna. Della cui architettura il campanile porta i segni distintivi nella asciuttezza dello stile tipico, di cui nell’immagine trovano fedele riscontro le linee rette dei contorni perimetrici del profilo e delle aperture del vano campanario. In certa qual maniera adesso meno evidenti, specie dopo il benemerito (perché necessario) restauro dei primissimi anni di questo secolo.

Accanto la chiesa del Convento dei frati minori conventuali, secondo il Passafiume ancora presenti, anche se in numero ridotto, alla data (1645) del suo volume sull’origine Diocesi di Cefalù.  Una chiesa assai rappresentativa sul lato religioso, essendo stata il centro dello spirito francescano vissuto in sede locale anche prima della eccellenza nel praticarlo da parte di un umile ma alto figlio di Gratteri, quale fu certamente il Padre Sebastiano, fondatore del convento cappuccino di Gibilmanna.

Sul lato civile, questa chiesa ha pure la sua non secondaria importanza, dato che fu il luogo privilegiato per il riposo eterno dei baroni Ventimiglia, di cui rimane testimonianza, nel suo interno, in una lapide che riassume nei personaggi citati un paio di secoli della baronia, durata poi, anche se sotto altro titolo (di principato di Belmonte) fino all’unità d’Italia.

Un chiesa, questa, che fa il paio riguardo alla medesima baronia con la chiesa della Matrice vecchia, che pure risalta, in alto sul lato sinistro dell’immagine, nel quadro di cui abbiamo cominciato a parlare in questa nota.

Quest’ultima era, infatti, la chiesa annessa al castello della residenza baronale, del quale non c’è più traccia, salvo l’ipotesi del sito, su cui oggi spicca un edificio di tutt’altra natura e funzione, qual è per l’appunto l’acquedotto comunale. Della sua annessione al castello sono una testimonianza certa e irrefutabile le due tombe di Maria Filangeri, moglie del barone Lorenzo, e del nipote Gaetano (morto nel 1724 all’età di 62 anni), del quale si tesse un elogio degno di un grand’uomo in una delle lapidi sepolcrali apposte alla sua tomba, che non deve essere stato solo di maniera, dati i meriti che gli sono stati attribuiti, tra cui spicca l’amore per i sudditi, che (si legge nella lapide) amò come figli e sostenne con somma generosità se poveri e bisognosi.

Con questi dati atti a delineare il più che millenario percorso storico del nostro paese come protagonista autonomo nell’ambito territoriale di appartenenza (Circondario delle Madonie), appena lo vidi, mi resi subito conto che fosse necessario salvare il quadro anzidetto dal cadere nell’indistinto ruolo di una istantanea artistica senz’altra storia se non quella di uno scatto da mano esperta su una fugace bellezza.

Esso mi appariva ed era invece l’input per una sostanziale ricerca sulle ragioni, nelle alterne vicende della storia di Sicilia, del costituirsi nel territorio di Gratteri di alcuni elementi significativi nel quadro più ampio della storia europea.

Al quale scopo l’ho tenuto presente da quando ne sono venuto fortunosamente in possesso, dopo alcuni anni dalla scoperta, attraverso il negoziante che aveva rilevato lo studio  dell’autore con le mercanzie rimaste. E con lo stesso fine vorrei additarlo agli eventuali lettori di questa nota in funzione della rinascita di quella Gratteri adesso quasi scomparsa dalla storia.

GIUSEPPE TERREGINO