Lì dove un tempo sorgeva l’antica città di Gibellina, in provincia di Trapani, ora vi è un sudario di cemento che rappresenta una delle più grandi opere di Land Art: si tratta del Grande Cretto di Alberto Burri.

IL GRANDE CRETTO DI BURRI

L’opera è stata realizzata tra il 1984 e il 1989 e completata nel 2015:  il Grande Cretto si compone di ventidue cubi di cemento bianco che si estendono lungo il pendio, sulle macerie della vecchia Gibellina, e si staglia tra l’azzurro del cielo e il verde delle colline, a voler riprodurre i vicoli di quel luogo un tempo animato dai suoi abitanti, che conducevano la loro esistenza tra duro lavoro e  sacrifici; la vita nei paesi del meridione era scandita dalla fame e dalla povertà, ma di certo nelle stradine assolate e nel cuore delle persone abitava anche la speranza di un futuro migliore. 

IL TERREMOTO DEL BELICE

Una fredda notte d’inverno però la vecchia Gibellina è stata strappata alla vita dal violento terremoto del Belice: era il 15 gennaio 1968  quando le viscere della Terra esplosero, distruggendo diversi paesi limitrofi (Poggioreale e Salaparuta per citarne alcuni) e con essi i loro abitanti, stravolgendo per sempre corpo e anima di quei centri abitati e dell’intera area che anche nell’anno successivo fu nuovamente colpita dal sisma.

Ciò che rimane della vecchia Gibellina è l’ex Chiesa di Santa Caterina, unico edificio rimasto in piedi a a circa 300 mt dall’attuale opera di Burri, che oggi ospita il Museo del Grande Cretto. 

L’ARTE COME OMAGGIO ALLA MEMORIA

L’idea di dare continuità a quei luoghi devastati dal terremoto fu dell’allora Sindaco Ludovico Corrao, che pensò all’arte come potente mezzo per rendere omaggio alla memoria.

Ci furono in lizza diversi artisti per la realizzazione di varie opere d’arte, uno dei quali Alberto Burri, che descrisse la sua prima impressione con quel luogo con queste parole: «Andammo a Gibellina con l’architetto Zanmatti, il quale era stato incaricato dal sindaco di occuparsi della cosa. Quando andai a visitare il posto, in Sicilia, il paese nuovo era stato quasi ultimato ed era pieno di opere. Qui non ci faccio niente di sicuro, dissi subito, andiamo a vedere dove sorgeva il vecchio paese. Era quasi a venti chilometri. Ne rimasi veramente colpito. Mi veniva quasi da piangere e subito mi venne l’idea: ecco, io qui sento che potrei fare qualcosa. Io farei così: compattiamo le macerie che tanto sono un problema per tutti, le armiamo per bene, e con il cemento facciamo un immenso cretto bianco, così che resti perenne ricordo di quest’avvenimento.»

Si tratta davvero di un posto da visitare ma con una certa consapevolezza, poichè solo immergendosi nella comprensione di ciò che rappresenta l’opera d’arte si può entrare in sintonia con quel bianco sudario di cemento che giace su ferite dolorose e incancellabili.

Articolo e foto di Teresa Molinaro

https://www.teresamolinaro.it