Alla figura del maestro abbiamo quasi sempre associato quella della scuola, delle classi con cattedre, lavagne e registri. Eppure, nell’iter della nostra crescita c’è stata una scuola senza un tetto e un portone d’ingresso: la nostra comunità di appartenenza. Delle aule prive di pareti, banchi e sedioline: le strade del paese. Dei docenti che non hanno mai conseguito diplomi o lauree, superato concorsi di abilitazione e conseguito master di specializzazione da incorniciare. Oggi, questi maestri “speciali” apparterrebbero alla categoria dei diversamente abili. Io ne vorrei ricordare alcuni: Filippo ”u mutu”, Turiddu ”bumma” e Nunziatina “a puddaredda”. Da diversi anni sono in Paradiso. Ma sono sempre stati a un passo dal Cielo. Per il loro essere rimasti “piccoli”, per quelle note di eterna fanciullezza mai scomparse dal pentagramma della loro vita. Questo semplice scritto vuole essere un modo per farne brillare il ricordo con la veste e i colori della gratitudine.

Filippo lo incontravi, l’abbiamo incontrato sempre per le vie del paese; aveva un passo veloce, doveva possedere una nutrita collezione di sandali color marrone: erano le sue scarpe, sempre lucidissime, estive e invernali. La sua voce era inconfondibile: la riconoscevi a distanza. Riusciva a pronunciare poche parole, ma si faceva capire da tutti con lo sguardo e ogni possibile movimento del suo corpo. Negli anni della sua infanzia mancavano gli insegnanti di sostegno e i logopedisti, eppure, Filippo ”u mutu” ci ha insegnato come l’uomo, anche con un linguaggio verbale ridottissimo, sia “la voce” della relazione. Lo ha insegnato benissimo a noi bambini e ragazzi degli anni 70-80. Con quello che era il suo punto di forza nella comunicazione verbale: riusciva brillantemente a fare uscire dalla sua bocca i suoni e i rumori delle macchine da corsa. Noi bambini lo cercavamo anche per questo. Ne eravamo magicamente affascinati.

Lui ne era contento. E, puntualmente, a ogni nostra martellante richiesta, indossava per noi i panni di un abilissimo guidatore delle più famose macchine da rally. Si trasformava in un pilota della Ferrari, della Formula 1, della Targa Florio. Così, senza mai averne avuto la consapevolezza, nella semplicità più bella di questa sua riuscitissima simulazione, Filippo diventava per noi un campione della corsa della vita. Di quella vita che incontrerà il volto della morte. Anche in questo doloroso momento che, raggiungeva figli e famiglie della nostra comunità, Filippo “u mutu” ci è stato da maestro. Infatti, ancora prima del mesto suono delle campane, era la sua voce “arrabbiata” a darne il triste annuncio al paese tutto. Non era più quella gioiosa e frizzante del pilota in corsa, ma quella che sgorgava dal cuore di un uomo che viveva la sua esperienza di pena e di dolore. Uno sfarfallio armonico di suoni che riusciva a unire le lamentazioni alle preghiere. Un pianto non degli occhi, ma di tutto il corpo. Era come se Filippo ti chiedesse di seguirlo per raggiungere con lui la casa del defunto, del quale spesso faticavi a comprenderne il nome articolato dalle sue labbra. Intanto, la notizia della nascita al cielo di un collesanese aveva come sua attendibilissima fonte quella di Filippo ”u mutu”. Con un privilegio prezioso e oggi rarissimo : non ha mai commesso l’errore di una bufala o di una fake news. Filippo era il nostro WhatsApp reale. Senza le emoticon virtuali.

Da lui abbiamo imparato a conoscere il tempo dei sogni e quello della loro fine. Filippo, col suo farsi “vero” pilota senza una macchina tra le mani, ci ha testimoniato che sognare qualcosa è un modo saggio per possederla o raggiungerla. Con il pianto della sua voce ci ha insegnato che “c’è un tempo sognato che bisognava sognare”. È per questo che a Filippo vogliamo dedicare la bellissima canzone di Ivano Fossati C’è tempo. Parleremo più avanti degli altri nostri maestri che stavano a un passo dal Cielo e che hanno saputo mostrarcelo col loro essere “bambini nel tempo”.
Santa domenica.

Don Franco Mogavero
Parroco
Responsabile comunicazioni sociali