Ed oggi vi raccontiamo una storia particolare, la storia di Pietro Fuddunu, fu un poeta popolare palermitano, che visse nel XVII secolo, svolgendo l’umile mestiere del tagliapietre. Si conosce poco sulla sua famiglia d’origine e ciò che si sa è molto impreciso.
La sua esistenza fù attraversata da fatti rilevanti per la storia del suo tempo, la peste del 1624 e il ritrovamento delle ossa della vergine Rosalia.
L’appellativo fudduni, da fodde, gran folle, sembra rispecchiasse in pieno la sua personalità. Sembra che Pietro fosse un ingegnoso illetterato, scriveva V.Auria.
Nonostante non avesse cultura edotta, probabilmente nel tempo fu affiancato da uomini di ingegno e scrisse delle cose meravigliose, dotato di grande memoria era eccentrico e sfrontato, non temeva i rischi ai quali si esponeva, sembra che la sua audacia piacesse comunque e attorno a se si generò una certa tolleranza da parte del mondo aristocratico del tempo, verso il quale esprimeva, tuttavia il suo disappunto.
I suoi versi avevano una carica polemica nei confronti del potere e le ingiustizie.
Divenne in poco tempo e spontaneamente , l’interprete più colorito e fantasioso del malcontento popolare.
Il popolo ha sempre avuto bisogno di poeti e Pietro, diede voce a tanti uomini. Era povero, ma arguto, ci sono tanti aneddoti che dipingono la sua intelligenza .
Lui stesso di sé stesso diceva : “sono strano e bizzarro, ma non pazzo né sciocco”. Tra i tanti aneddoti che ci vengono tramandati ne ricordiamo uno che nella tradizione popolare tante volte abbiamo ascoltato . Un rapporto di sincera cordialità lo legava al parroco della chiesetta del suo quartiere al Capo, un certo padre Onofrio, suo coetaneo: soggetto estroso , che poteva sembrare, per carattere e per comportamento, il fratello gemello del nostro Poeta.

Da circa vent’anni padre Onofrio era alle prese con la traduzione in latino della “Divina Commedia”, che considerava il secondo Vangelo, e alla sera studiava con devozione al lavoro che si proponeva di pubblicare e divulgare prima della sua morte.
L’unico compagno dei suoi studi notturni era il fedelissimo gatto “Mattìa” che aveva pazientemente addestrato a tenersi tra le zampette una candela accesa. Se ne stava così l’animale immobile sul tavolo, accanto a padre Onofrio, sporgendo di tanto in tanto la linguetta per fare inumidire le dita al suo padrone, quando questi doveva sfogliare le pagine del manoscritto. Mai vista prima d’ora una cosa tanto sorprendente.
Una sera assistette a questa scena Petru Fudduni, trovandosi a passare “per caso” dalla casa del prete e vedendo il comportamento dell’animale piuttosto strano e contro natura. Il parroco, orgoglioso dei risultati ottenuti col gatto, disse come, a volte, la scienza riesce a fare dei veri miracoli, modificando le rigide regole della natura, che si piegano davanti all’intelligenza dell’uomo.
“Impossibile!” – replicò all’istante Petru Fudduni. La natura non potrà mai essere mutata, e la scienza s’illude di poterla dominare, perché la forza della natura è invincibile, e… “quando la forza con la ragion contrasta, la forza vince e… la ragion non basta!”
Da qui ne nacque un’accesa discussione che si placò solo con la promessa, da parte di Petru Fudduni, della prova inversa che avrebbe fornito il giorno appresso. E così, la sera successiva, il poetà si ripresentò a casa di padre Onofrio e si sedette attorno al tavolo, assistendo alla stessa scena del giorno innanzi; il gatto serafico non si distraeva affatto e svolgeva la consueta funzione di “candeliere”, dando sempre maggiore prova al suo padrone della sua incontestabile teoria: “la natura dapprima si domina e quindi si asserva” E mentre l’ingenuo parroco era intento a scrivere, Fudduni, non visto, uscì dalla tasca della giacca un topolino che si era portato appresso e che si teneva stretto nel pugno, liberandolo al bordo del tavolo. Il gatto, alla vista del topo, lasciò andare per aria la candela per corrergli dietro, con grande disappunto di don Onofrio.
E Fudduni, con un ghigno sulle labbra: “Sempri ‘a natura è chidda ca vinci!”.
Non possiamo poi non ricordare il poema “La Rosalia” del 1651, che gli fu commissionato.
La Rosalia è un poema epico in ottave siciliane scritte in sei canti e 3856 versi che è chiaro un solo uomo semplice senza cultura non poteva scrivere da solo.
Molti di questi versi li ritroviamo nei Triunfi, narrati durante la festa di santa Rosalia, ne ricordiamo un verso : “e sprezzando il mondo e se stessa, si fa di un crocifisso crocifissa” .
Lo si deve anche a Pietro Fuddunu l’attenzione verso la santa sin dai suoi tempi, dove per strada ne fece conoscere la storia, e i suoi prodigi.
I suoi versi hanno ispirato i Triunfi, nei momenti di preghiera durante il festino ed ora più che mai in questo momento in cui una nuova peste ci impedisce di essere liberi, “dammi l’aiutu tò lu miu deportu, fa chi sempr’haia lu tò nomu in bucca”.
Pino Caruso a lungo studio’ il personaggio di Fuddunu, sostenendo che il popolo che aveva poca cultura avesse bisogno di qualcuno che parlasse a posto suo, oggi il nostro popolo ha più coscienza collettiva e Caruso scrive, ciascuno a modo suo ha scelto di essere “Il Petru Fudduni” di se stesso.
In copertina una santussa bellissima realizzata dalla bravissima Linda Di Salvo, artista dai colori forti, energici, carichi di tutto l’amore per questa terra di Sicilia, madre e matrigna molte volte, che dona e toglie.
Vi invito a guardare gli occhi di questa santuzza, sono carichi di tenerezza e voglia di coccolarci nello sconforto delle nostre anime , ci dicono di non arrenderci, di resistere, perchè tutto passerà.
Ringraziamo l’artista per la gentile concessione di questo lavoro, realizzato a mano, chi volesse può contattare l’artista nella sua pagina facebook per visionare i suoi lavori.
Per chi è curioso si legga la Rosalia di Fudduni, c’è tanto da imparare e pregare.

Sabrina Miriana