Si spendono tante parole e tante immagini si divulgano a proposito della violenza contro le donne, in un vortice che spesso ci travolge, ci indigna, ci fa gridare allo scandalo, ma che poi, come un’onda anomala, passa e, dopo tanto scalpore, spesso resta un forte senso di vuoto e di assenza. E allora, probabilmente, diventa necessario eliminare quell’eccesso di parole, di immagini, di slogan, di frasi fatte, di stereotipi ripetuti mille volte e tornare all’essenza, attraverso un processo di sottrazione che può costituire qualcosa in più nell’efficacia della comunicazione.
È l’operazione che, a mio avviso, ha compiuto Igor Scalisi Palminteri, artista di quartiere, come egli stesso si definisce, dotato di grande sensibilità nei confronti di tutte le vittime della società, di tutte le fragilità esistenziali, di tutte le forme di emarginazione. In questo caso, dovendo rappresentare un problema così doloroso e purtroppo così diffuso, come quello della violenza di genere, in tutte le forme in cui si manifesta, ha scelto la via dell’essenzialità e della delicatezza, ha rappresentato una donna invisibile, perché spesso la donna che subisce violenza resta tale per gli altri, insieme al suo dolore, se non addirittura considerata, almeno parzialmente, responsabile di ciò che ha subito. Una donna invisibile nella sua solitudine, dunque, ma che noi in questo murale vediamo, perché la nostra percezione interpreta e tende a completare l’immagine e perché Igor Scalisi Palminteri ha saputo rendere visibile, con pochi e leggeri movimenti, un corpo invisibile e, se osserviamo attentamente, ne vediamo le gambe, un più flessa dell’altra, e ne vediamo il corpo in una postura morbida in quel semplice abito rosso.
Rosso come le scarpe, diventate simbolo della lotta alla violenza contro le donne da quando l’artista messicana, Elina Chauvet, il 22 agosto 2009 posizionò in una piazza della città di Ciudad Juárez, 33 paia di scarpe femminili, tutte rosse, tutte prive delle loro legittime proprietarie. È vero, manca anche il volto: ma quell’assenza può essere colmata da tutti i volti di donne che non ci sono più, di quelle che portano il ricordo della violenza nei loro sguardi, delle altre ancora che hanno un volto sfigurato, ma anche dal viso deciso e fiero delle donne che vogliono affermare il loro no e chiedere con vigore il rispetto della loro libertà.
Un murale essenziale, come essenziali sono le parole che vi campeggiano: “Ti rissi no”. Parole che hanno attraversato diverse piazze d’Italia, partendo dalla Sicilia, su iniziativa del movimento Non Una Di Meno, dopo il terribile episodio di violenza di gruppo accaduto a Palermo durante l’estate appena trascorsa: dopo la narrazione mediatica, fatta di morbosi dettagli, e dopo la spettacolarizzazione della violenza e del dolore, solo poche incisive parole in siciliano: “Ti rissi no”.
Il siciliano non conosce (tranne che in rari casi) il passato prossimo; conosce solo il passato remoto, derivato dal perfetto latino, con cui viene espressa un’azione passata e conclusa in maniera definitiva. “Ti rissi no” è più efficace e perentorio dell’italiano “ti ho detto no”, colloca l’azione nel passato e assume il valore di qualcosa di irrevocabile, che non consente fraintendimenti e va rispettato senza possibilità di deroga.
Come dice Igor Scalisi Palminteri, un murale è un segno, è un seme che può germogliare e dare speranza di cambiamento. Un murale insiste su un territorio e assume un forte valore di cittadinanza attiva, per lo sviluppo di senso civico, di fratellanza, di rispetto, di cura dell’altro, e in questo caso il seme dovrebbe portare ad una nuova consapevolezza per porre fine alla barbarie contro le donne: un murale insiste su un territorio, ma parla al mondo intero.
Dice Igor Scalisi Palminteri che un muro non è fatto solo di mattoni, ma anche di persone: tutte le persone che lo guardano e continueranno a guardarlo ed è importante sottolineare che nel quartiere Spinito, in cui è stato realizzato il murale, insistono due importanti plessi scolastici. Molti studenti percorrono ogni mattina la strada da cui esso è visibile.
L’auspicio è che questa immagine, così essenziale, delicata e incisiva, espressione della gentilezza dell’autore, possa rimanere sempre nella loro mente e possa essere guida nella loro vita, promuovendo, insieme a tutte le agenzie educative, una sensibilità emotiva e sentimentale che si riaffermi sull’anestesia generale a cui la ridondanza mediatica, l’abuso dei social, la spregiudicatezza che li caratterizza e l’insistenza sugli aspetti più scabrosi rischiano di condurci.
Rosalba Gallà