Se fosse lecito paragonare le cose piccole alle grandi, non esiteremmo a paragonare la poco importante chiesa a sant’Andrea di Gratteri al vero e proprio tempio (esemplare dello stile Barocco siciliano) dedicato a sant’Agata in Caltanissetta per il motivo – non del tutto plausibile – del portale in pietra bianca e la scalinata a doppia rampa quale nella nostra memoria era quella gratterese prima del ridimensionamento per motivi di pubblica utilità, derivanti dal traffico cittadino non più riconducibile all’uso delle cavalcature animali.

Ma c’è qualcosa che rende in certa misura comparabili i due immobili, ed è l’epoca della edificazione: il Seicento per quella di Caltanissetta e certamente non prima e certamente nella seconda metà di tale secolo per la nostra chiesa di sant’Andrea. Essendo cadute per varie ragioni, in precedenza esplicitate anche da noi, ipotesi diverse, incompatibili con la accertata espansione del centro abitato del borgo gratterese, ad est oltre il torrente, dal XVI secolo in poi.

La prima era destinata, per espressa volontà di Luisa Moncada e del figlio Francesco, al Collegio dei Gesuiti, da loro stessi voluto e fatto edificare “tra la fine del Cinquecento e l’inizio del Seicento”. Mentre se potesse essere certo l’abbinamento della chiesa di Gratteri a un presunto monastero carmelitano, le due chiese avrebbero in comune l’onore, di ciascuna, a uno dei capisaldi, di origine ispanica, della riforma cattolica: Il fondatore della Compagnia di Gesù, sant’Ignazio di Loyola (1491-1556) e la riformatrice dell’ordine carmelitano, santa Teresa d’Avila (1515-1582). Cosa perfettamente in linea con la dominazione spagnola del tempo.

Nel primo caso (quello di Caltanissetta), non ci sono dubbi. Per quanto riguarda il caso nostro, gli elementi disponibili (le tombe dei due sacerdoti Bellomo e quella di una monaca data come madre superiora), benché ben significativi, non possono dare la certezza di un monastero del detto ordine a lungo abitato in quell’edificio a fianco della chiesa, anche perché esso non molto tempo dopo e fino ai nostri giorni sarebbe stato il Collegio per antonomasia, perché questo era il nome dell’istituto religioso ivi operante.

Ivi, infatti, dopo il 1765, per volontà del signore di Gratteri, il principe di Belmonte Giuseppe Emanuele Ventimiglia, vennero allocate le suore di uno dei tanti collegi di Maria sorti in Sicilia in seguito a quello di Palermo del 1721, quando l’ordine monastico, detto appunto delle collegine, rivelò anche da noi l’efficacia sul piano educativo voluta dal fondatore, il cardinale Pier Marcellino Corradini di Sezze (1658-1743).

A noi piace questa metamorfosi del monastero (vero o presunto) iniziale, perché la chiesa di sant’Andrea a Gratteri con la denominazione di Sant’Andrea al Collegio assume la qualità di un bene culturale di primaria importanza, perché in quello stesso  edificio venne allocata, dopo il 1870, la prima scuola femminile dello Stato italiano, la quale veniva a sancire – anche per le vicende che ne accompagnarono il sorgere – il diritto all’istruzione di ogni cittadino senza distinzione di genere e di censo. Diritto oggi universalmente riconosciuto come diritto umano primario, ma non si sa fino a quando fruibile a Gratteri, a causa della insufficienza di alunni conseguente all’inarrestabile spopolamento del borgo, ormai ridotto a meno di un villaggio. Anche se, paradossalmente dotato di un edificio – proprio quello dell’anzidetto collegio – adattato a sede della scuola media.

Ragione per cui l’abbinamento della nostra chiesa di sant’Andrea al tempio di sant’Agata a Caltanissetta, legato alla comune annessione a un’istituzione educativa, anche se diversa l’una dall’altra, vuole esprimere l’auspicio che non abbia a cessare un legame siffatto nel futuro dell’antico borgo gratterese.

GIUSEPPE TERREGINO