Gli scout di Cefalù, piantatori di croci.Non c’è cima, non c’è sommità, in Italia, in cui non svetti una croce verso l’alto. Le nostre montagne sono costellate di una miriade di “croci di vetta”, in legno, in ferro, in muratura. Grazie alla loro silenziosa presenza, le montagne si trasformano, così, in «cattedrali della Terra, in meravigliosi templi che inneggiano alla Bellezza»: la croce piantata sulla sommità diviene il simbolo che congiunge la terra al cielo, è il segno per dimostrare l’inarrivabile potenza creatrice di Dio e manifestare la sua presenza per ogni dove.


Piantare una croce in cima ad un monte, dopo un arduo percorso di fatica e di sofferenza, è celebrare la conquista della vetta, è considerare la montagna sede della sacralità e del divino, ruolo che, sin dall’antichità più remota e presso tutte le civiltà, le è stato riconosciuto. La montagna, dunque, come luogo più vicino al cielo, come luogo di culto, di raccoglimento, di ascolto, che solo il segno cristiano della croce riesce pienamente ad avvalorare.
Non è un caso che, sin dalla fine del secondo conflitto mondiale, il numero delle croci sulle vette più alte delle nostre montagne si è accresciuto notevolmente, come segno di ringraziamento per la fine della guerra, come simbolo di pace e di speranza per ricostruire un domani migliore.
Le croci sono piantate anche per rievocare e commemorare un evento storico particolarmente significativo o anche a protezione della comunità che sorge ai piedi della montagna. È stata questa, presumibilmente, l’idea che spinse il Gruppo esploratori cattolici “Fides intrepida” di Cefalù, che allora cominciava a muovere i primi passi, e la locale Associazione giovanile cattolica “Religione e Patria” ad innalzare una grande croce di ferro sulla nostra Rupe. A causa, però, delle restrizioni del regime fascista, che portarono alla chiusura su tutto il territorio nazionale delle libere associazioni, l’idea «fu raccolta e fatta propria dal giornale locale di ispirazione fascista “Era Nuova”, che lanciò una pubblica sottoscrizione alla quale i cefaludesi del tempo aderirono con grande slancio».
Nella deliberazione della Giunta municipale del 13 marzo 1926, così è dato leggere: «Finalmente il giorno sacro dell’Addolorata, presenti S.E. mons. Vescovo [Giovanni Pulvirenti] col Capitolo e tutte le autorità civili e militari, al cospetto di un’enorme folla di popolo, i Padri [quattro Passionisti venuti appositamente da Roma] hanno benedetto la Croce ricordo della Missione e dell’Anno Santo, costruita a concorso di tutti e collocata sulla granitica roccia, in alto, a stendere sulla Città le sue braccia amorose» (da: Monitore diocesano di Cefalù, 3, 1926, in R. Ilardo, L’Eccelsa Rupe, pp. 293-294).


Circa trent’anni dopo (1952), furono sempre gli scout di Cefalù a collocare una croce di ferro sul punto più alto del territorio comunale, Pizzo Sant’Angelo (ca. 1100 metri s.l.m.), come a cercare un contatto privilegiato col divino: una croce che era, insieme, testimonianza di fede intrepida e di appartenenza alla comunità cefaludese. Quella croce, portata dagli scout a forza di spalle fin sulla vetta, fu gravemente danneggiata anni dopo dalla caduta di un fulmine.
Il 29 giugno 2003, nel segno della continuità, «a conclusione di un nutrito ciclo di manifestazioni per commemorare l’80° anniversario della fondazione dello Scautismo a Cefalù, fu ripiantata una grande croce di ferro, secondo quanto programmato da un apposito gruppo di lavoro presieduto e coordinato dal dott. Rosario Ilardo» (D. Lima – I. Di Garbo, in Taccuino del centenario, pp.105-106).
Una croce imponente, quella di Pizzo Sant’Angelo (alta 10 m. e del peso di 1500 kg.), ma essenziale nella sua struttura, che rappresenta un traguardo di pace, un invito alla sosta, alla preghiera, alla contemplazione. Una croce che è simbolo di sofferenza, ma anche di amore: «nella croce si può vedere un Gesù sofferente e un Gesù che ci vuole abbracciare». Una croce simbolo di amore universale, ai cui piedi, domenica 7 maggio, secondo un toccante e singolare rito scout, hanno pronunciato solennemente la loro “Promessa” tre nuove socie, per entrare a far parte della grande famiglia dello Scautismo adulto.
Il caldo tepore del primo sole primaverile ha favorito un’interessantissima visita naturalistica, tra querce secolari, lecci, roverelle e il rarissimo e spettacolare Abies nebrodensis. A fare da cornice una delle “finestre paesaggistiche” più suggestive della Sicilia, che lascia correre lo sguardo dalla costa tirrenica ai monti delle alte Madonie sino a toccare quasi con mano la sommità ancora innevata dell’Etna.
Lorenzo Ilardo
Magister Comunità MASCI di Cefalù