Nella temperie volutamente polemica seguita alla dipartita di Papa Benedetto XVI sono scomparsi dalla sua complessa e ricca personalità, oltremodo versatile, alcuni tratti che lo fanno essere tutt’altro che un topo di biblioteca intento a cogliere gli aspetti meno alla portata della gente comune della fede religiosa. Mentre il nostro fu certamente un teologo pastorale mite e umile, capace di cogliere gli aspetti canonicamente condivisibili della spiritualità popolare. Fino a far propria la massima enunciata da Gesù riguardo alla capacità dei piccoli di comprendere verità risultate incomprensibili ai dotti e ai sapienti.

Il pensiero teologico di Benedetto XVI è ancorato alla mai sorpassata stagione della Scolastica, che può considerarsi fondante di quella cultura di base dell’Europa in ogni suo angolo. Il che si evince dalle lezioni tenute dallo stesso Pontefice nelle udienze generali da lui tenute nell’aula Paolo VI. Onde non è improprio dire che egli sia stato un europeista convinto e sentimentalmente coinvolto. Come risulta chiaramente nella relazione sul  filosofo medievale Giovanni Duns Scoto, il quale può essere bene a ragione considerato un pilastro di quella cultura per cui non ha senso non solo la variamente voluta Brexit, della quale non poco e non sempre pacificamente, soprattutto nel Regno Unito, si è discusso e dibattuto, ma neanche la rottura della fragile e tanto faticosamente raggiunta Unione Europea. La quale proprio nella sintesi della cultura greco-giudaica alla luce della fede cristiana, operata dalla scuola di pensiero di cui  il “Dottor Sottile” fu maestro di primissimo piano, ha il collante più forte e sicuro.

Del magistero europeo dello Scoto è illuminante la mappa delineata da Papa Benedetto XVI nella Udienza generale del 7 luglio 2010:  «Dotato – egli dice – di un’intelligenza brillante e portata alla speculazione – quell’intelligenza che gli meritò dalla tradizione il titolo di Doctor subtilis, “Dottore sottile”- Duns Scoto fu indirizzato agli studi di filosofia e di teologia presso le celebri Università di Oxford e di Parigi. Conclusa con successo la formazione, intraprese l’insegnamento della teologia nelle Università di Oxford e di Cambridge, e poi di Parigi, iniziando a commentare, come tutti i Maestri del tempo, le Sentenze di Pietro Lombardo». Se si aggiunge che morì a Colonia (8 novembre 1308), dove era stato chiamato per insegnare presso lo Studio francescano di quella città, pure La Germania va messa nel conto del suo prestigioso e formativo magistero.

 Al suo percorso, fatte salve le  dovute proporzioni, va assimilato  quello spirituale e intellettuale di una numerosa fraternità francescana di cui fu  il punto di riferimento principale, non solo come teologo, ma anche come filosofo  assieme ad  Aristotile; del che abbiamo avuto conferma nella citazione che un modesto frate cappuccino mistrettese (Joachim Maria ab Amastra) ne fa nel suo compendio di Fisica nel senso aristotelico del termine dal titolo Phisiologiae Disputationes secundum mentem Aristotilis Doctorisque Subtilis. Il che dimostra come era capillarmente diffusa quella cultura della quale la scuola di Parigi va identificata col faro da cui si irradia, come luce sul cammino della civiltà occidentale, il pensiero dello Stagirita. Sul quale, per l’appunto, si fonda la “filosofia scolastica”, della quale fu esperto Pietro Lombardo, che venne denominato Magister Sententiarum”.

 A  cui si aggiungono – nel compendio di Frate Gioacchino – «Alessandro di Hales, Alberto Magno e altri, nonché le scuole molto famose che operarono nell’Accademia parigina: la prima, quella dei Tomisti, così detti da San Tommaso, il quale fiorì intorno all’anno 1300 e meritò il nome di principe di Lutezia dei Parisi (Parigi); la seconda, quella degli Scotisti, che presero il nome da Scoto, il quale fondò la sua scuola, anche lui, a Parigi tra la fine del tredicesimo secolo e l’inizio del quattordicesimo; la terza, quella dei Nominalisti, i quali sostengono che oggetto della logica siano i nomi. Il capo di questa scuola fu l’inglese Occam, discepolo di Scoto, religioso dell’ordine dei Minori».

Duns Scoto di tale fioritura fu protagonista, mentre Fra’ Gioacchino è stato solo un suo seguace di alcuni secoli (quasi 5 per l’esattezza) successivo. Un lasso di tempo che dà la testimonianza di come Aristotile sia stato – per dirla con l’Alighieri – “maestro di color che sanno” per un lungo arco di secoli, unificando sotto il profilo culturale, la maggior parte delle nazioni europee, dal Regno Unito alla Francia, all’Italia, alla Germania, come dicono le origini dei maggiori esponenti della Scolastica: Pietro lombardo e Tommaso d’Aquino, Italia, Alberto Magno, Germania, Alessandro di Hales e Occam, Inghilterra, Giovanni Duns Scoto, Scozia. E come confermano  anche le nazionalità delle scuole, diverse nel sito ma unite nello spirito della conoscenza. Onde non è assolutamente improprio parlare, riguardo alla cultura di ognuna di esse, non già della cultura di un paese europeo, ma della cultura europea tout court. E considerare sciagurata l’idea di smembrare il continente per ragioni contingenti di carattere che, senza volere offendere alcuno, potremmo classificare di natura mercantile.

Con riferimento a Duns Scoto, non ci pare di secondaria importanza, in ordine all’unità spirituale dell’Europa – a prescindere dalla fede religiosa  praticata – , l’aggregazione numerosa e ininterrotta della gente attorno al Santuario di Lourdes, dove, tramite una povera fanciulla analfabeta, una inspiegabile, ma documentata,  Apparizione celestiale venne a confermare quella intuizione del grande teologo medievale sulla Immacolata Concezione di Maria. Una intuizione la sua, che sorretta dall’acume di un suo inconfutabile argomento, riconosciuto valido da Papa Pio IX, che nel 1854 che ne proclamò il dogma, veniva a tacitare il secolare dibattito, talora acceso, tra teologi e ordini religiosi. Dei quali l’aveva vinta sul merito quello francescano, di cui era membro autorevole il Duns Scoto, che così era venuto ad arricchire – come  sottolinea Papa Ratzinger nella citata udienza del 2010 -, con il suo «specifico contributo di pensiero ciò che il popolo di Dio credeva già spontaneamente sulla Beata Vergine, e manifestava negli atti di pietà, nelle espressioni dell’arte e, in genere, nel vissuto cristiano. Tutto questo grazie a quel soprannaturale sensus fidei, cioè a quella capacità infusa dallo Spirito Santo, che abilita ad abbracciare le realtà della fede, con l’umiltà del cuore e della mente».

La fiducia in questo “soprannaturale sensus fidei” è un dato caratteristico del teologo Ratzinger, che gli fa ritenere sempre necessario per i teologi «mettersi in ascolto di questa sorgente e conservare l’umiltà e la semplicità dei piccoli», perché non rimanga nascosto, pure alle menti più eccelse intellettualmente, l’essenziale del mistero che la storia ci insegna essere stato colto dai piccoli, quali sono state, per esempio – le cita proprio Ratzinger – santa Bernardette Soubirous e santa Teresa di Lisieux,”con la sua  nuova lettura della Bibbia ‘non scientifica’, ma che entra nel cuore della Sacra Scrittura”.

Questo lato umanistico e pastorale della sua teologia è presente anche quando egli cita tra i meriti del Dottor Sottile quello di avere affrontato e sviluppato, col suo illuminante acume, «un punto – dice Il Papa – a cui la modernità è molto sensibile. Si tratta del tema della libertà e del suo rapporto con la volontà e con l’intelletto». Un tema assai importante, dato che – come egli aveva fatto rilevare parlando ai seminaristi romani – “la libertà in tutti i tempi è stata il grande sogno dell’umanità, sin dagli inizi, ma particolarmente nell’epoca moderna

Non è questo il luogo – anche a causa dell’incompetenza in materia dello scrivente – per riportare la illustrazione del Pontefice riguardo al dibattito secolare su questa importantissima tematica. A noi può bastare la sua conclusione riguardo al pensiero in merito di Duns Scoto, per il quale  “un atto libero risulta dal concorso di intelletto e volontà e se egli parla di un “primato” della volontà, lo argomenta proprio perché la volontà segue sempre l’intelletto”. Ma più ancora importante ci sembra l’ammonimento ricondotto al dato di fatto che «la storia moderna, oltre alla nostra esperienza quotidiana, ci insegna che la libertà è autentica, e aiuta alla costruzione di una civiltà veramente umana, solo quando è riconciliata con la verità. Se è sganciata dalla verità, la libertà diventa tragicamente principio di distruzione dell’armonia interiore della persona umana, fonte di prevaricazione dei più forti e dei violenti, e causa di sofferenze e di lutti».

Il precedente scritto, anche se con qualche lacuna e non senza la possibilità di un certo fraintendimento del pensiero dello scomparso Papa emerito, mi sembra abbastanza esauriente per illustrare il nostro assunto iniziale.  Merito dello stesso pontefice, che nella illustrazione della figura di Duns scoto, in un italiano da scrittore eccellente nella nostra lingua, ha colto quegli elementi che confermassero le radici cristiane della cultura europea, nonché – come si trattasse dell’auto  ritratto – i tratti salienti della sua personalità poliedrica, armonicamente composta nei diversi aspetti delle sue facce.

Qui ci preme ancora rilevare l’europeismo, quale emerge dall’epitaffio rilevato sulla tomba del teologo scozzese da lui puntualmente trascritto: «l’Inghilterra lo accolse, la Francia lo istruì, Colonia, in Germania, ne conserva i resti; in Scozia egli nacque». E, inoltre, come non leggere nella data scelta per le sue dimissioni, 11 febbraio 2013, un atto di devozione alla Madonna nella linea tracciata proprio da Duns Scoto!

                               GIUSEPPE TERREGINO