L’epitaffio potrebbe sembrare irriverente e forse anche irrispettoso: “Addio a Niccolai, artista dell’autogol”. Il buon Comunardo, stopper arcigno e implacabile nato a Uzzano (Pistoia) era consapevole di esserlo. Già, perché proprio lui, frequente autore di sciagurati autogol, sapeva bene di possedere quest’arte creativa: gli autogol, infatti, preferiva griffarli. Come ama ripetere l’ex portiere Ricky Albertosi, sua ‘vittima’ prediletta: “Comunardo non solo mi faceva gol, da compagno di squadra qual era nel Cagliari, i suoi erano dei veri e propri capolavori. Pensa, Adolfo, che una volta, contro Bologna, si superò: dribblò perfino me, prima di insaccare nella mia porta sguarnita il gol a favore degli avversari. Mica potevo ammazzarlo…”. Uno come lui sarebbe andato a nozze con questi ‘contrattempi’ in un Europeo dove l’autogol è quasi routine.


BIZZARRIE: Comunardo ha reso questo mondo più povero di personaggi autentici nella notte fra lunedì 1 e martedì 2 luglio, in silenzio, colpito da un improvviso malore. Era uno dei campioni d’Italia con la maglia del Cagliari nel 1970 e uno dei 22 convocati da Ferruccio Valcareggi per i Mondiali in Messico, nello stesso anno. Sugli altipiani di Montezuma partì titolare, ma la sfortuna lo fermò dopo 37′ della partita d’esordio degli azzurri, contro la Svezia, il 3 giugno a Toluca: caviglia ko e torneo finito. Lo sostituirà Roberto Rosato, detto ‘Faccia d’angelo’, che da mediano era nel frattempo divenuto stopper nel Milan. Una sfiga inaudita. Un’occasione unica. Come unico era il suo nome. “Nella mia vita un altro Comunardo – amava ripetere Niccolai – non l’ho mai incontrato. Pensa che ho perfino un fratello di nome Pilade. Mio padre, che si chiamava Lorenzo ed era un antifascista convinto, fu portiere del Livorno, la città dov’è nato il Partito Comunista Italiano: babbo Lorenzo ha avuto tre mogli ed è rimasto due volte vedovo. Sono cresciuto in una cittadina bianca collocata nel cuore di una regione rossa”. La scelta del nome non fu mai accettata nella famiglia Niccolai, tant’è che la madre Rina lo chiamava Silvano. In squadra ero semplicemente ‘Nicco’. Fu Tomasini ad affibbiarmi questo nomignolo”. ‘Nicco’, leggenda delle autoreti, nasce attaccante, a 5 anni si ammala di nefrite e rimane per tre giorni sospeso fra la vita e la morte, nemmeno lui sapeva come se ne uscì. A 11 anni comincia a lavorare, vendendo dolciumi e sigarette con la cassetta al collo nel cinema, durante gli intervalli, da lì nasce la sua passione per i film che, grazie a quell’impiego, riesce a vedere gratis.

MIRACOLATO: la prima società ad opzionarlo è il Bologna, dopo che un osservatore lo aveva segnalato alla Torres, la squadra di Sassari. Supera il provino ma, alla visite mediche, viene fermato. Non per la nefrite, per quel rene malfunzionante, ma per un soffio al cuore. Gli dicono: “Non potrai più giocare”. E, invece, Comunardo arriva perfino nella Nazionale maggiore. Ha anche le ginocchia deboli, al punto che deve sottoporsi abbastanza spesso a delle infiltrazioni; vola spesso a Pescia, in compagnia della moglie Naida. Sfuma il trasferimento al Bologna, non quello alla Torres: è a Sassari che Comunardo s’innamora della Sardegna e nel 1964 passa al Cagliari appena promosso in Serie A; in panchina c’è l’ex milanista Arturo Silvestri, detto ‘Sandokan’, sarà lui a insegnargli i trucchi del mestiere, facendolo diventare difensore vero. Scopigno lo completerà come uomo e, proprio il filosolo dello scudetto del Cagliari, pronuncerà una frase a metà fra lo stravagande e il pirandelliano. A proposito dell’esibizione in Messico con la maglia dell’Italia, durata poco purtroppo, Scopigno confiderà: “Tutto mi sarei aspettato nella vita, tranne di vedere Comunardo Niccolai in mondovisione”. Comunardo fu comunque tra i protagonisti dello scudetto del Cagliari con 29 presenze su 30 partite (meglio di lui solo Albertosi, Sergio Gori e Domenghini, con 30 su 30) e infilò – ci mancherebbe – Albertosi il 15 marzo 1970, al Comunale di Torino nel big-match per il tricolore contro la Juventus, finito 2-2. E’ il 29′ del primo tempo, cross dalla destra di Furino e Niccolai, di testa, anticipa in uscita Albertosi, che stava per abbrancare il pallone.Un gol da fuoriclasse, per uno degli eroi di quell’impresa irripetibile, meravigliosa, impossibile da ripetere al giorno d’oggi. Comunardo ci ha lasciati con la sua simpatia rara e innata, con l’ironia dei grandi e quel fiuto per l’autogol che l’hanno reso speciale. E’ stato comunque un artista, figura di spicco di un calcio che non c’è più e che, in tempi bui come questi, ci mancherà ancora di più. Ciao, Comunardo.

ADOLFO FANTACCINI

nella foto 15 marzo 1970, autogol dell’1-0 per la Juventus (Cagliari-Juventus 2-2, sfida scudetto)