Il suo corpo si è arreso dopo 79 anni vissuti fra il lago e il mare, la sua leggenda è eterna, come quella degli antichi eroi greci. Poteva chiamarsi Eracle o Perseo, i sardi lo hanno rinominato ‘solo’ Giggirriva. Lui, che era uomo di lago (Maggiore), taciturno e schivo, ha continuato a regalare gioie, emozioni, gloria sportiva.
Quando si è diffusa la notizia che il suo cuore immenso non batteva più, ognuno di noi ha avvertito quella sensazione a metà fra la disperazione e i brividi di freddo tipici di quando si apprende della dipartita di una persona assai cara: un genitore, un fratello. Già, perché Giggirriva da Leggiuno, piccolo centro del Varesotto, era uno di noi, pur avendo il dono dell’eroe che si è fatto mito.


Sì, Giggiriva era un eroe con e senza macchia: era un duro, in apparenza, ma anche un buono. Era leale e ruvido, caparbio e tenace, generoso fino all’autoflagellazione. Altrimenti, per difendere la maglia azzurra, non si sarebbe fatto spezzare prima la caviglia sinistra (dal portiere portoghese Americo, nel 1967) e poi anche quella destra (dal difensore austriaco Hof, detto il ‘boia’ del Prater, nel 1970). Due infortuni che avrebbero messo ko un qualsiasi ‘eroe’ contemporaneo, non Giggirriva da Leggiuno, re di Sardegna, una vita cominciata in salita, a remare controcorrente, e poi vissuta a tutta, fra auto sportive, un paio di amori consumati (quello della sua vita è stato uno solo: Gianna Tofanari), miliardi di sigarette, migliaia di partite a Ramino, la voglia di sentirsi un uomo normale.
Giggirriva non lascia eredi, perché nessuno sarà mai più come lui. E nessuno rifiuterà una valanga di soldi per continuare a vestire la maglia di un Cagliari che non avrebbe mai più vinto alcunché, invece di trasferirsi a Torino per cucirsi addosso altre scudetti. Agnelli e Boniperti erano disposti a svenarsi pur di vederlo nella propria squadra. “Il presidente dei bianconeri – mi raccontò un giorno, il numero 11 per antonomasia, durante un allenamento della Nazionale azzurra ai Mondiali del 2010 in Sudafrica (lui era dirigente accompagnatore) – Giampiero Boniperti, ogni volta che arrivano da qualche parte con il Cagliari, mi faceva avvicinare da un suo emissario che, dopo i convenevoli di rito, mi chiedeva: ‘che ne dici, Gigi, chiamiamo Giampiero, così vi salutate? Questa cosa mi infastidiva parecchio: ‘perché dovrei salutare Boniperti’, rispondevo io?”. Uno dei tanti aneddoti che caratterizzano la vita di un eroe non per caso e che forniscono la cifra – anche morale – di un uomo tutto d’un pezzo.


Il gol non era tutto per lui, però “mi faceva vivere con serenità la settimana che seguiva la partita”. Di serenità deve essere colma la vita di Giggiriva, dal momento che di gol ne ha segnati a decine. In Nazionale 35 in 42 partite, meglio di Meazza e Piola, meglio di tutti. Un record che dura dagli anni 70 e che, nonostante l’alta frequenza delle partite che hanno ucciso il calcio moderno, non può essere ancora battuto.
Segnò sempre e ovunque, Giggirriva, non a Palermo, quel 14 dicembre 1969, ossia quattro giorni dopo la strage di viale Lazio e due giorni dopo Piazza Fontana, la madre di tutte le stragi terroristiche. O meglio: in quell’occasione, allo stadio della Favorita, in un pomeriggio uggioso, su un campo impossibile, Riva, non ancora Rombo di tuono, il suo golletto lo mise a segnò, ma l’arbitro Toselli di Cormons annullò per fuorigioco. Un gol che Manlio Scopigno, l’allenatore anticonformista del Cagliari, deve essere apparso particolarmente regolare, al punto – lui così dissacrante e ironico – da scagliarsi contro il guardalinee Cicconetti, che aveva segnalato un fuorigioco di Mario Martiradonna. Scopigno reagì come nessuno si sarebbe aspettato, invitando il giudice di linea a “mettersi la bandierina”, in un certo posto. Venne allontanato dal campo e squalificato fino alla fine della stagione. Sarà sostituito in panchina dal secondo Conti e non potrà più guidare quel Cagliari che, a fine stagione, vincerà lo scudetto, grazie soprattutto ai gol del suo attaccante. Il Cagliari, però, a Palermo sarà sconfitto da un gol di Tanino Troja, bomber di San Lorenzo e grazie anche alla marcatura arcigna di Ido Sgrazzutti su Riva. Il terzino friulano, che in rosanero giocherà 97 partite, nella ripresa, stremato, verrà sostituito dal conterraneo Edy Reja. Sgrazzutti e Riva se le daranno di santa ragione, di piede, di mani e di gomito, senza mai reclamare o inscenare psicodrammi. “In fondo, il calcio è uno sport di contatto”, dirà a fine partita il difensore del Palermo.


A distanza di qualche mese, in un luminoso pomeriggio milanese, Giggirriva diventerà Rombo di tuono, per mano – e intuizione – di Gianni Brera, al culmine di una prestazione fantasmagorica, contro l’Inter. San Siro gli tributerà una standing ovation e il vate dei giornalisti sportivi – in quel 25 ottobre 1970 – scriverà sulle colonne del Guerin Sportivo: “Il Cagliari ha subito infilato e umiliato l’Inter a San Siro. Oltre 70 mila spettatori: se li è meritati, Riva, che qui soprannomino Rombo di Tuono”. Pochi giorni dopo, al Prater di Vienna, Hof avrebbe spezzato la favola del Cagliari, azzoppando Gigi, con un intervento da codice penale. Qualche mese prima, invece, il futuro Rombo di tuono aveva rivaleggiato con Montezuma, il re degli Aztechi, ma anche con un altro sovrano: Edson Arantes do Nascimento, semplicemente noto come Pelè, che trascinerà il Brasile alla conquista dell’ultima Coppa Rimet.
Sugli altipiani messicani, Riva patisce i tormenti di un amore complicato, non riesce a rompere il ghiaccio, si vede annullare un gol contro Israele nel girone di qualificazione, accusa l’assenza di Rivera, punito e tenuto fuori nelle prime due partite e mezzo. Poi, però, realizza una doppietta contro il Messico e un gol favoloso contro la Germania Ovest nella mitica semifinale dello stadio Azteca. Non una partita qualsiasi.


E’ l’apoteosi di una carriera irripetibile, come irripetibili sono i suoi silenzi, la sua riservatezza, i suoi sguardi dolci e taglienti. Non dev’essere stato facile, per un eroe greco, ammainare lo scudo e la spada senza fare troppo baccano, arrendendosi allo scorrere del tmepo. Del resto, bisogna essere proprio speciali per costringere due latitanti sardi a farsi arrestare pur di avere un autografo prima della partita-scudetto contro il Bari. Era il 12 aprile 1970.
Riva, che è morto pochi giorni dopo Franz Beckenbauer, dopo Pelè. Cruijff e tanti altri mostri sacri del pallone, ma soprattutto anni dopo Concetto Lo Bello, probabilmente da qualche parte ritroverà il sorriso e chiederà all’arbitro siracusano: “Se il rigore contro la Juventus, quello dello scudetto 1970, lo avessi sbagliato?”. Lo Bello, di certo, gli risponderà nuovamente: “Te lo avrei fatto ripetere”.

Nelle foto: Giggirriva con Adolfo Fantaccini