Ogni casa ha il suo disordine, ed è felice o infelice secondo meccanismi che non sempre riusciamo a cogliere .
Tolstoj scrisse : tutte le famiglie felici sono uguali, ogni famiglia infelice lo è a modo suo.
Ci sono dinamiche, meccanismi relazionali a cui ci abituiamo come i pesci dentro l’acquario, ma le anime inquiete cercheranno sempre il mare e nel farlo spesso si fa molto rumore,si crea altro disordine, più forte di quello che già esiste, rendersene conto è la chiave per capire.
L’abitudine alla quotidianità, non ci fa fare una domanda importantissima, quella che garantisce la sopravvivenza sana dei sistemi , ossia farsi le domande, anche quelle che appaiono più strane, “ chissà se i pesci piangono?”. Se siamo pesci dentro acquari, i nostri simili ci guardano e confusi non sapranno mai se piangiamo o meno, perchè dentro tanta acqua come fai a vedere le lacrime diceva Danilo Dolci.
Insomma tutto è un gran caos, prima ce ne accorgiamo meglio è per tutti, probabilmente lo avvertiamo, ma non sappiamo guardarla in faccia la realtà che spesso ci confonde, spaventa, qualche volta annienta.
Bene, la maggior parte dei problemi relazionali che viviamo nella nostra quotidianità nasce dalle domande che non trovano risposte e dall’incapacità di volere guardare con più attenzione ciò che accade attorno a noi, dentro di noi.
La paura di vedere le cose come stanno realmente, ci impone un meccaniscmo, la distrazione verso altro, guardare bene e sentire bene le cose ci farebbe troppo male.
Stiamo vivendo un periodo storico caratterizzato da una condizione pericolosa di incertezza , abbiamo bisogno di fermarci e fare il punto della situazione, quella che chiamavamo famiglia non è più famiglia, quelle che credevamo fossero relazioni d’amore, tutto hanno tranne che amore, cosa dicono gli esperti in merito?
Gli esperti in particolare Paolo Crepet , sostiene che molti errori nascono dall’incapacità che abbiamo tutti di sapere tollerare le frustrazioni, di sapere dire di no, cerchiamo troppi compromessi e condoni emotivi che non portano nulla di buono, se non un allontanare il problema momentaneo per incapacità di affrontarlo, abbiamo solo spostato il problema più in là facendolo diventare più grande.
La domanda che tutti ci facciamo rispetto al caso di Giulia Cecchettin è la seguente: “ Nessuno ha colto i segnali pericolosi che Filippo Turetta inviava?, le amiche di Giulia cosa hanno fatto per aiutare la ragazza a gestire il peso emotivo che le piombava addosso, la stessa sorella di Giulia , Elena che ora stà sostenendo una battaglia sul “rumore”, sulla parola, sull’importanza del raccontare il male che ci attraversa, dov’era? Ed il papà?.
Nessuno emette sentenze o giudizi oltre misura, ma non c’è dubbio che una cosa è certa Giulia era sola in questa triste e folle battaglia contro la manipolazione , di una persona che ha voluto bene e che ha voluto proteggere fino alla fine non proteggendo se stessa.
Nessuno può conoscere i tormenti interiori di giulia , che chissà , forse più di una volta si sarà sentita in qualche modo responsabile per il malessere di Filippo che sembrava abbia annunciato che non avrebbe retto l’abbandono .
La domanda dunque torna sempre la stessa: “Giulia era sola? “ se Giulia era sola, quello che questa vicenda dolorosa ci suggerisce ed impone è quella di creare una rete di solidarietà tutte le volte che intercettiamo dolore, sofferenza , dobbiamo affinare la nostra capacità di rintracciare i segnali di pericolo nelle relazioni amorose e non solo e recuperare la cacacità del sapersi raccontare senza temere il giudizio altrui.
Dunque dobbiamo imparare a parlare a non tacere le nostre esistenze , specialmente se sono in bilico e nell’incertezza, raccontare può salvarci la vita, sapere ascoltare i segnali deboli è ancora più importante .
Si parla tanto di educazione affettiva, come se fosse una lezioncina di un manuale, l’affettività e la sua educazione passa da diversi canali e nessuno và escluso, sono tutti importanti: la solidità della famiglia d’origine , la scuola con i suoi tempi di osservazione e ascolto, la rete amicale , la rete e i messaggi che veicola nei social, la musica e le parole che propone, tutti hanno qualcosa da dire e fare per non fare sentire solo/a nessuna.
Ciascuno di noi ha una grossa fetta di responsabilità nel benessere della collettività e del singolo.
Dobbiamo cercare nel disordine quotidiano l’ordine.