Caro fratello, cara sorella,sto pensando a te. A noi. Alla nostra Pasqua.
E voglio provare a celebrarla insieme a te, a partire dai diversi “vuoti” pasquali delle nostre esistenze. Ovvero, dai tanti sogni desiderati e non realizzati. Da ogni progetto sfumato, inquinato, corroso dai nostri “sinodali” egoismi collettivi. Dai cambiamenti di rotta, quelli inaspettati e dolorosi che, come violenti terremoti, hanno raso al suolo i grattacieli del nostro futuro. Di essi, a volte, resta solo un cumulo silenzioso di macerie. Penso a voi, Martina ed Antonio.

Quando più di venti anni fa, alla vigilia del matrimonio, venni a benedire la vostra casa. Profumava di vita: era già pronta la stanzetta per quel figlio che non è mai più arrivato. Oggi è la camera del “vostro” papà. Del vostro bimbo di 90 anni. Al quale cambiate il pannolone più volte al giorno e con il biberon-siringa date da bere latte e acqua. Penso a quella culla rimasta vuota, al doloroso “vuoto pasquale” di un bimbo che non c’è. Resto commosso di fronte alla celebrazione quotidiana della vostra “pasqua rovesciata”.
Penso a te, dolce Enrico. A te che nella chemioterapia sperimentale fatta alla tua mamma, colpita da un cattivo tumore, hai visto il fulmine della speranza. A te che daresti anni della tua vita pur di non vederla mai soffrire. A te, le cui orecchie sono ancora stordite dal tuono di quel verdetto che parla di nuove metastasi e dell’avvio della cura palliativa. Enrico, debbo ringraziarti per quanto hai scritto con le tue lacrime, non solo nel messaggio che mi hai inviato, ma soprattutto nella pagina della tua vita, di questo “vuoto pasquale”: “Che Dio l’assista e le dia pace”.
E poi mi ricordo di te, caro Pippo. Dei tuoi mesi prigioniero tra le mura di casa, a studiare forsennatamente per superare quel concorso che avrebbe realizzato il sogno più importante della tua vita lavorativa. Penso ai tanti temi svolti e corretti con uno zelo impeccabile; alla passione che accompagnava il ripetermi ad alta voce i libri che riempivano la bibliografia delle tue speranze. Eri certo di farcela. E lo meritavi. Ma altri, forse con “la pedata” diabolica della promessa del potere, ti han fatto scivolare sul bianco pavimento dell’onestà. Dove hai sbattuto la faccia. Vi sei rimasto per un po’ di tempo, paralizzato dalla depressione del fallimento esistenziale e della sfiducia verso tutti. Ti sei rialzato. Mamma e papà con i loro risparmi ti han permesso di aprire una bella attività commerciale. Ma nei tuoi occhi si legge ancora quel “vuoto pasquale” di una “vocazione abortita”.


Sono certo che tutti abbiamo dei “vuoti pasquali”. Proviamo in questi giorni dell’ottava di Pasqua ad aprire finestre e balconi della nostra fede per farli accarezzare e abbagliare dalla luce del Cristo Risorto. La Sua Resurrezione trasforma il tempo, trasforma l’oggi nel luogo della Speranza: il luogo da dove iniziare il cammino verso il Misericordioso, l’Eterno. Non è mai con le ali dell’immaginazione, di uno sterile slancio mistico, ma con le ali dell’intelligenza della fede, la quale si fa cammino e ricerca tra le pagine della Scrittura. La Resurrezione di Cristo ci educa a sperare. A uscire dai buoi sepolcri della società consumistica. Essa ha trasformato il tempo nella casa dove l’uomo è schiavo di quel principio economico che lo fa soggetto e oggetto di consumi, produzioni e prestazioni. Lo ha ridotto ad un sofisticato computer che sa addizionare, sottrarre, dividere e moltiplicare. Poco pensare. Amare. Sperare. Incapace, tante volte, di cercare le cose di lassù.
Caro fratello e cara sorella, questo è il mio augurio per te: possa tu vedere ogni giorno della tua esistenza come un carico di primizie di quella vita pasquale che vivremo in pienezza nell’Eternità, ma che già assaporiamo.
Se ne hai il desiderio di comprenderlo un po’ di più, ti invito affettuosamente a partecipare agli esercizi pasquali.
La locandina accoglila come “un invito pasquale”. E a te che sei lontano da Collesano e non vi potrai partecipare, chiedo di raggiungerci con la tua preziosa preghiera.
Santa Pasqua, tuo fratello 
don Franco Mogavero