“Non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni Parola che esce dalla bocca di Dio” (Mt.4,4).
E’ il tema della Liturgia odierna, che ci viene proclamato nel Vangelo, che cantiamo nel Tratto e nell’antifona di Comunione. E’ il tema del percorso quaresimale, perché nel confronto con la Parola ci purificheremo delle nostre colpe, Dio creerà in noi un cuore puro, rinnoverà uno spirito saldo (Salmo responsoriale).
Con il Salmo 50, cantato dopo la lettura di Genesi 2,7-9; 3,1-7, abbiamo ripreso l’atto penitenziale, confessando la consapevolezza della nostra creaturalità e della connaturale limitatezza: Dio ha plasmato l’uomo dal fango, con il suo soffio ha immesso in lui un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente. Poi Dio piantò un giardino, in Eden, e vi collocò l’uomo che aveva plasmato.
Una scena idilliaca che appare in netto contrasto con la scena successiva della tentazione e della caduta.
Fin dai primordi l’uomo ha cercato di darsi una risposta per spiegarsi la debolezza, la miseria, la malattia, la capacità di compiere il male…l’ha trovata nel mito e l’ha attribuita proprio alla sua diversità con gli altri esseri viventi: la sua intelligenza, la sua sete di conoscenza. Ciò facendo l’uomo dichiara la sua responsabilità nei confronti del male, considerandolo conseguenza dell’uso distorto d’intelligenza e conoscenza.
Nell’economia della Salvezza, infatti, non è pensabile che Dio possa avere punito l’uomo perché aveva usato l’intelligenza ed aveva desiderato di conoscere il bene ed il male, proprio Lui che lo aveva creato a sua immagine e somiglianza, così distinguendolo da tutte le altre creature, soffiando nelle sue narici lo spirito di vita.
L’uomo pecca quando, con intelligenza e conoscenza, si monta la testa e, in delirio d’onnipotenza, nel possesso smodato del creato, sfida Dio, sostituendosi a Lui, pensando (è il peccato dell’intelligenza) di poterne fare a meno, perché con la conoscenza domina il tutto. L’errore sta proprio nel non aver capito che la conoscenza, più che renderlo dominus, apre nuove piste di ricerca nell’immensità dell’universo. La conoscenza dovrebbe fargli capire che la sua grande peculiarità d’essere intelligente produce ulteriore conoscenza al fine di valorizzare il creato e servirsene per la sua piena ma vera realizzazione. Solo il Dio che ti ha creato può farti dio.
Nel brano evangelico cogliamo una perfetta analogia: a Cristo viene chiesto di usare la sua peculiarità di Figlio di Dio per fini di basso profilo: alleviare la fame, ottenere consenso e popolarità all’inizio della sua missione terrena, dominare il mondo secondo la logica umana. Tutto l’opposto della logica del Regno di Dio, che Lui è venuto ad annunziare.
Le tre risposte di Cristo sono diametralmente opposte a quell’uso improprio di intelligenza e conoscenza sopra menzionato:
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