II Domenica d’Avvento

“ Gerusalemme, sorgi e sta in alto: contempla la gioia che a te viene dal tuo Dio” ( Bar 5,5; 4,36 – Antifona di Comunione).
Oggi è domenica di consolazione nel percorso penitenziale intrapreso verso Natale ed il ritorno di Cristo. L’antifona di comunione ci prospetta la soluzione finale: la purificazione penitenziale farà sì che tu possa avere la consolazione della contemplazione ed il godimento della gioia che viene da Dio, e perciò sarai come Gerusalemme posta sul monte, segno di salvezza per chi s’incammina verso quel monte.
Il percorso non è facile: nel deserto è stata preparata la via del Signore. Nel deserto dovrai annunziare che Dio viene con potenza, perché nelle sue mani è il dominio. Ma anche che, come pastore, fa pascolare il suo gregge e con il suo braccio lo raduna; porta gli agnellini sul seno e conduce pian piano le pecore madri ( Isaia 40,1-5 e 9,11 ). Volto paterno e materno di Dio verso il suo popolo, che nel deserto può subire la tentazione della disfatta.
Come Giovanni, nel deserto noi predichiamo un battesimo di conversione per il perdono dei peccati, siamo messaggeri davanti al Cristo che viene, gli prepariamo la strada. A differenza di Giovanni e dei suoi ascoltatori,però, noi siamo stati battezzati con lo Spirito Santo ed in questa eucaristia contempliamo la gioia che viene dal nostro Dio, perché nell’incontro con Cristo ci viene rivelato Dio, essendo Cristo l’immagine   del Dio invisibile. Ecco da dove nasce la nostra gioia. Non dobbiamo mai dimenticare che noi siamo “ i salvati” e quindi il nostro cammino verso il Natale è più un cammino di testimonianza che un cammino di conversione: noi siamo già convertiti, altrimenti non saremmo ricchi di Dio tanto da partecipare al suo Sacramento e nutrirci di Cristo.
Da questa consapevolezza e da questo stato di grazia nasce la nostra testimonianza nel deserto, nella steppa, nel terreno accidentato in cui viviamo, fatti d’ignoranza, di malattia, di fame, di guerra, di indifferenza, di soprusi dell’uomo sull’uomo, di perdita di dignità, di smarrimento…

Nell’orazione colletta abbiamo pregato “ che il nostro impegno nel mondo non ci ostacoli nel cammino verso il tuo Figlio, ma la sapienza che viene dal cielo ci guidi alla comunione con il Cristo”.
La Liturgia suppone che noi siamo impegnati nel mondo. E’ l’incipit e la costante verifica della nostra avvenuta conversione: l’impegno. Da salvati non possiamo stare a guardare, ma dobbiamo gridare forte dai tetti quello che sperimentiamo nella partecipazione sacramentale, ove ci stiamo confrontando con la Parola e quindi ce ne nutriremo.
La gloria del Signore si rivelerà quando noi avremo appianato le sue vie, quando avremo trasformato le condizioni di vita dell’uomo, quando oltre a proclamarne l’avvento, avremo realizzato il suo Regno, che è Cristo stesso, che è dentro di noi per la sua Grazia, che siamo noi nella dimensione storica della Chiesa.
Non esiste attività umana che possa vederci estranei, non abbiamo il diritto di distrarci, non possiamo fare i Ponzio Pilato. Dobbiamo invece essere presenti in maniera profetica per parlare su questa realtà di deserto ed operare per colmare le valli e abbassare i monti.
Laici per coerenza cristiana, e non per motivi ideologici o etico-politici, siamo i veri operatori di pace. Gli altri ci dicono clericali. Noi diciamo che nella Chiesa purtroppo ci sono anche i clerici, ai quali tuttavia la Parola rivolge l’invito di conversione alla laicità, quale interesse incondizionato alla realizzazione dell’uomo nel nome del vero uomo e vero Dio Gesù Signore. Il senso profondo dell’incarnazione e l’anelito incommensurabile dell’umanità.
La preghiera finale dell’odierna eucaristia, perfettamente consequenziale con l’orazione iniziale, ci fa chiedere al Padre che in forza dell’esperienza sacramentale ci insegni a valutare con sapienza i beni della terra, nella continua ricerca dei beni del cielo.

Giuseppe Riggio