Ognuno, con l’impegno e la dedizione necessaria, può fare grandi cose.

Collaborare, progettare, credere: tutti passaggi importanti, che non possono esistere l’uno senza l’altro. Il progetto “Umanesimo dell’Altro Uomo”, di sicuro, continua ad esistere e a funzionare perché trova coesione tra queste tre azioni.

Quest’anno, con il tema dello “straniero”, di “ripensare la comunità”, si è scelto di soffermarsi sui più umili, sugli ultimi che compongono la nostra società odierna.

E mentre accettare lo straniero è qualcosa di personale, perché, prima di tutto, lo straniero è la nostra stessa persona, bisogna impegnarsi con la comunità stessa per migliorarla e offrirle un posto più elevato nella condizione umana.

Sono tante le famiglie che non possono permettersi beni primari, e spesso un segno di affetto è più rassicurante di una maglietta firmata.

Allora bisogna mettersi in gioco, per portare a chi non ha qualcosa. Qualcosa di concreto.

Unire entrambe le cose: vicinanza fisica e morale.

Con chi collaborare, se non con il gruppo Abele?

Fondato da don Luigi Ciotti con l’intento di occuparsi dell’integrazione, sempre difficile e impegnativa, dei diversi e degli esclusi, desidera “capovolgere l’atteggiamento indifferente ed egoistico esemplificato dalla figura di Caino”, come afferma il gruppo stesso, trovando in Abele, modello giusto, ma ingiusta vittima, una figura da riabilitare e seguire.

Fondato nel 1965, continua instancabilmente nella sua missione, cercando di includere l’umanità tutta in una società che sembra cacciare chi non è pronto, ma che, di fatto, è costituita anche da chi non è pronto. Il progetto ha deciso, quindi, di donare 500 euro, da spendere nei riguardi delle famiglie povere, perché crede nei loro valori.

Per raccogliere i soldi necessari, sono stati organizzati due momenti importanti: la ricreazione della solidarietà, e il mercato solidale.

E qui c’è il progettare, l’organizzare, creare un’iniziativa capace di offrire gli strumenti che possano portare alla realizzazione di qualcosa di grande.

Qua ci vuole l’aiuto di tutti, per sistemare, spostare, appuntare e provare.

E infine si passa alla collaborazione.

Anche se qualcosa è stata ideata perfettamente, senza l’impegno adeguato sfuma inevitabilmente.

Gli studenti che hanno collaborato al progetto sono davvero molti, a partire dalle terze, che, come ogni anno, hanno il compito di guidare i compagni verso l’obiettivo.

Così, il 20 dicembre, gli allievi hanno venduto, tramite delle polizze-tre pezzi di dolce una polizza-, dei dolci fatti da alcuni di loro, in un clima di allegria che ha contagiato tutti. I rimanenti dolci sono stati donati alla parrocchia di San Francesco, e il ricavato raccolto in beneficienza. Alcuni alunni preparavano e porgevano le porzioni, altri facevano passare a gruppi i loro compagni nello spazio adibito alla ricreazione, in modo che non si affollasse lo spazio davanti ai tavoli, ed ognuno si è impegnato per la riuscita di un momento di complicità che ha legato ognuno, indistintamente.

Tutto questo dopo un momento di riflessione più profondo, con canzoni, eseguite da alcune alunne, poesie, e pensieri; molti hanno contribuito, creando uno spazio di ascolto e confronto.

Il giorno dopo, invece, il 21, dallo stand in piazza Garibaldi sono partiti gruppi di ragazzi, con vassoi colmi di sacchettini, da loro confezionati, di lenticchie e grano, un dono simbolico per celebrare un Natale felice anche per chi non ha nulla. I soldi raccolti tramite beneficienza dai ragazzi, che spiegavano ai passanti cosa stavano raccogliendo, perché e per chi, sono stati molti, simbolo del buon cuore delle persone, che, per fortuna, c’è.

Anche se questo era il secondo tentativo (perché il primo era stato stroncato da una pioggia fortissima, che alla fine aveva costretto tutti a tornare a casa), nessuno si è perso d’animo, e si è, come detto, arrivati a quell’inimmaginabile somma da destinare al gruppo Abele.

Certamente, tutti ricorderanno di aver partecipato a un gesto del genere: tutti ci hanno messo del proprio, e tutti ne hanno ricavato qualcosa, nel cuore.

Un gesto da raccontare, non perché orgogliosi, ma come un’esperienza che fa crescere: affinché più persone possano capire l’importanza di un gesto gentile, che equivale a tendere le mani a qualcuno.

Non importa quanto ambizioso sia un obiettivo: esso si può raggiungere, se davvero lo si vuole.