La dodicesima stanza, cosi la chiamava Ezio Bosso l’ultima stanza, la più stretta, quella difficile da attraversare, ma anche quella che consente di rinascere, con questo nome diede il titolo al suo cd, che lo rese famoso al grande pubblico.Ezio Bosso, raccontava di una teoria secondo cui esistono dodici stanze, ognuna ha un nome e serve a qualcosa, a qualcuna siamo più affezzionati rispetto ad altre, ciascuna è importante nel processo della vita, la dodicesima è la più particolare, e ne parlava spesso anche nel corso di una delle ultime interviste fatte durante il periodo di quarantena in casa sua da Diego Bianchi, in cui l’artista dimostrava ancora una volta questa passione profonda per la musica, per la vita, la gioia dello stare insieme e parlava della musica come strumento di benessere, nonché coadiuvante sociale, domandandosi poco come lui stesse, ma come stessero gli altri, a riprova della sua grande umanità ed attenzione al mondo dell’arte, in un momento difficile come quella vissuta durante il Covid per gli artisti. Ezio Bosso ci ha lasciati il 15 maggio, aveva 48 anni , pianista, compositore torinese dal sorriso spumeggiante come il mare, nonostante le tempeste profonde che il suo corpo viveva ormai da anni.Musicista, compositore, direttore d’orchestra lascia un vuoto nel panorama musicale, ma anche tanta eredità non solo musicale, ma soprattutto umana, ogni sua intervista era una lezione di vita, per la forza dirompente con cui parlava di tutto, creando fascino nello spettatore.

Divenne noto al grande pubblico dopo la sua partecipazione a Sanremo nel 2016, emozionando ed incantando il pubblico, che rimase estasiato, ci ha rappresentato in tutto il mondo, e di lui abbiamo mille motivi per ricordarlo.Le sue interviste sono una testimonianza di una grande e coraggiosa personalità, che ha comunque dovuto lottare contro il pregiudizio e la cattiveria di chi attribuiva il suo successo alla condizione di “disabile”, come se la disabilità desse visibilità, ma anche competenze che lo stesso ha maturato in anni di studio, sin da quando era bambino, in cui sembra sopperisse con la musica i suoi lunghi silenzi, che dirà da grande erano già musica.Ezio Bosso era una persona solare, sorridente, nonostante la malattia degenerativa che lo ha colpito.Fino alla fine ha fatto ciò che più di tutto amava fare, suonare.La musica era la sua vita, e suonando o dirigendo l’orchestra, riusciva ad essere quello che non poteva più essere nella vita normale, un uomo completamente libero, lui stesso raccontava, che mentre dirigeva le sue mani e il suo corpo volavano, riusciva ad avere una pienezza di sé che gli donava quelli che lui chiamava “attimi di felicità”, gli stessi da recuperare come maniglie tutte le volte che era difficile rialzarsi.La musica è un elemento volatile dinamico diceva, uno strumento di catarsi magica, non a caso i direttori d’orchestra possiedono, diceva una bacchetta.Alla domanda se lui fosse felice, rispondeva che da uomo era riuscito a vivere tutte le vite che un uomo avrebbe mai desiderato vivere e al tempo stesso che un’altro uomo avrebbe avuto paura di vivere.Non bisogna mai avere paura della paura diceva, la paura blocca qualunque processo di crescita, miglioramento, la musica può essere fonte di leggerezza, che è una virtù, citata spesso da Calvino, a cui sembra Bosso fosse legato nel pensiero per questa sua concezione di “leggerezza” che non è mai banalità.Tra i tanti brani da lui composti resta noto “Following a bird” in cui Bosso racconta di essersi perso, casualmente ed improvvisamente nell’inseguimento di un uccellino, e di avere, incantato da questo movimento, riflettuto sulla bellezza del perdersi per poi inseguire altro.Proprio come nella vita, perdersi spesso è un modo per ritrovarsi, diversi, forse più forti.Tutto è musica, anche il silenzio lo è, ascoltare il silenzio è un modo per ricongiungersi con l’universo che velocemente come sabbia scorre , questo ripeteva. Bosso nelle ultime interviste, quasi come fosse una testimonianza da lasciare ulteriormente, ripeteva spesso che il mondo ha bisogno della musica, ha bisogno di imparare ad ascoltare, ha bisogno di riconciliarsi con la natura e con ciò che essa governa.Quelle mani sul pianoforte producevano magia, la musica è di tutti diceva e se viene composta è perchè tutti possano goderne. Tutti noi ricorderemo le note meravigliose dei suoi lavori e quelle mani indebolite dalla malattia che fino alla fine hanno donato gioia, ha insegnato come tanti altri che la vita pur accanendosi spesso con eventi tristi sa emozionarci e sorprenderci se solo sappiamo viverla pienamente.Resta la sua musica ed i suoi video, speriamo qualcuno raccolga i suoi pensieri in un libro, sarebbe bellissimo. Chi potrà mai dimenticare quel suo insolito modo di entrare in scena sventolando le mani in segno di saluto gioioso, quel ciao, cosi confidenziale che rompeva qualunque schema e diventava subito gioia dell’incontro.