Qualche volta il sacro ed il profano s’incontrano e mai a caso e comunque con un filo rosso che intreccia e annoda le cose per spiegarle meglio.
In questi giorni Catania, si appresta a celebrare la patrona, Sant’Agata, nata a Catania intorno al 235 dc, da una famiglia nobile e cristiana, in un periodo in cui essere cristiani non era sempre accettato dal potere del tempo.
Verso i 15 anni, Agata, decide di consacrarsi a Dio. Il proconsole di Catania, ebbe modo di incontrarla e se ne invaghi’, ma non avendo riscontro da parte della giovane, fece imbastire un processo a suo carico, per la sua scelta religiosa.
Nonostante le torture Agata, rimaneva ferma nel suo credo, cosi venne punita con grande atrocità, le vennero strappati i seni con le tenaglie.
Un evento prodigioso, miracoloso fece sì, che i seni guarirono, cosi fù ordinato di bruciarla in un letto di braci ardenti, anche lì accadde qualcosa di straordinario, Agata era coperta da un mantello rosso, che al contatto del calore non bruciava, contemporaneamente una scossa di terremoto, fermò l’esecuzione e fù condotta in cella, dove di li a poco Agata morirà, ferma nella sua fede.


Da allora altri eventi prodigiosi accadero che fecero di Agata, non solo una martire, ma una santa, durante un’eruzione che stava devastando Catania, alcuni uomini decisero di prendere il mantello rosso conservato nel sarcofago di Agata, lo posero disperati d’innanzi la lava che avanzava, e questa miracolosamente si fermò, salvando la città, da allora i Catanesi la venerano come Patrona della città, dedicandole giorni bellissimi di festa carica di religiosità.


Tra i tanti modi in cui gli uomini ricordano gli eventi, alcuni appaiono bizzarri, i dolci per esempio, le famose “minne di vergini” una prelibatezza dei sensi, ne sono la prova.
A Palermo all’interno del Convento di Santa Caterina, oggi polo museale, luogo di una bellezza straordinaria, meta di turisti di tutto il mondo si conserva un’antica tradizione, la pasticceria secondo le usanze delle monache di clausura che per ben 700 anni abitarono queste mura.
Quando si arriva al Monastero, un profumo di cannella cattura l’olfatto, ti prende e accompagna li dove le suore con pochi ingredienti realizzavano prelibatezze per il palato.
Fare dolci era un’usanza che serviva non certo solo al palato delle monache, ma per donare ai signori nobili ed ingraziarsi il loro aiuto.
Pochi ingredienti, mandorle, zucchero, cannella, frutti di stagione e liquori rigorosamente prodotti dalle stesse.
Le ricette erano segretissime, Mara Olivieri, appassionata di storia e antropologia ha raccolto in un volume antiche ricette, cannoli, sospiri monaca, e le minne di vergini insieme a tanti altri.


Quando mangiamo un dolce dietro ci stà una storia che spesso sconosciamo, cibarsi delle minne di vergine nei giorni di festa è anche un modo per nutrire metaforicamente quella parte di noi che richiede protezione verso le avversità della vita, a cui in molti casi c’è sempre rimedio.
Raccontate nel Gattopardo da Tomasi di Lampedusa, Pitrè nei racconti di storia popolare e ultimamnete dalla scrittrice siciliana Giuseppina Torregrossa nel libro “il cunto delle minne”, in maniera goliardica e allusiva offrire questi dolci è anche un modo per stuzzicare il desiderio, ma noi che in questo momento ricordiamo la bella santa Agata, li ricordiamo per la forza delle donne, mutilata nella sua parte femminile, il seno, che poi è anche la culla del latte delle madri, preferiamo questa immagine più poetica, viva Sant’Agata e che la festa cominci. In copertina un prezioso acquerello che ritrae Sant’ Agata realizzata dall’artista palermitana Linda Di Salvo.