Nella Sicilia sotto il dominio spagnolo, in un periodo di decadenza e miseria quale fu quello seguito alla scoperta del Nuovo mondo, che con l’apertura degli scambi attraverso l’Atlantico aveva fatto perdere all’Isola la precedente importanza economica, al centro del Mediterraneo, attraversa un momento relativamente felice la baronia di Gratteri. Non solo perché ad essa si aggrega, tramite il matrimonio del barone Carlo I con l’ereditiera Maria de Ruiz, la prestigiosa baronia di Santo Stefano di Bivona e quindi viene elevata al rango principesco in virtù del matrimonio, nel 1650, dell’erede don Francesco di Gratteri con Donna Ninfa d’Afflitto,  principessa di Belmonte, ma anche perché a dirigerla sono personaggi di un certo peso nel contesto del potere feudale dell’epoca.

Si tratta, con riferimento a Gratteri, del periodo che va dal citato CarloI (morto nel 1575) al Principe di Belmonte Gaetano (1652-1724), attraverso la successione dei baroni Pietro II, primogenito di Carlo, Carlo junior, Alfonso, Lorenzo e Gaetano. Un periodo in cui «l’Isolasubiva il potere arbitrario del viceré, assistito dalla Grande Curia … .Ma, in realtà, era amministrata malissimo: soffriva dell’estrema lentezza delle decisioni del potere centrale, delle difficoltà finanziarie della monarchia, del disordine e della corruzione dell’amministrazione locale». (J.Huré. Storia della Sicilia, ED.RI.SI, Palermo 1982).

A metà di questo arco di tempo, tra il 1622 e il 1624, a rappresentare la corona spagnola in Sicilia è il principe di Oneglia Emanuele Filiberto di Savoia, imparentato con la monarchia spagnola, nonché in notevole stato di grazia presso di essa, che regge la Sicilia con sovrani poteri civili e militari.Egli è tra l’altro un uomo di elevata cultura e come tale, nel ruolo di  «mecenate di letterati, artisti e scienziati, rivitalizzò i circuiti accademici, in particolare l’Accademia degli Elevati intelletti di Palermo, che era stata creata dal suo predecessore, ribattezzandola dei Riaccesi e ospitandola nel palazzo reale, dove, in date prestabilite, in sua presenza, si tenevano le adunanze». (Enciclopedia Treccani, alla voce Savoia).

Qui entra in gioco il personaggio di cui ci interessa parlare. Si tratta di Carlo Maria Ventimiglia, del quale in un nota dell’Archivio Biografico Comunale di Palermo si legge: «I suoi interessi furono molteplici: si occupò di ingegneria navale, di astronomia e di scienze in generale lasciando numerosi appunti ed opere a stampa.

Tra i più interessanti manoscritti inediti ricordiamo il ‘De Physiologiatractatus’ dove trattò di fisica in ambito filosofico, allontanandosi dalle speculazioni prettamente scolastiche in auge ai suoi tempi.

Fu tra gli animatori dell’Accademia dei Riaccesi sorta sotto la protezione di Emanuele Filiberto con interessi prevalentemente letterari».

Il perché del nostro interesse emerge dalla presentazione del personaggio nel volume di Giuseppe Emanuele Ortolani (Cefalù 1758, Palermo 1828) dedicato alle “Biografie degli uomini illustri della Sicilia”. Tra i quali va annoverato proprio «Carlo Maria Ventimiglia e Ruiz nato a Palermo nel 1570, dall’illustre prosapia dei Conti di Collesano e baroni di Gratteri, oggi esistente negli attuali Principi di Belmonte», il quale – secondo il barone (pure lui) Ortolani – “ ci offre un esempio di come si possa ben unire alla chiarezza del sangue l’ardore dello studio e del sapere, e dare alla prima maggiore lustro con lo splendore dell’istruzione”.

Una presentazione, questa, veramente lusinghiera per la stirpe dei Ventimiglia e in certo senso “patriotticamente” degna di compiacimento per i sudditi della stessa stirpe. Nella quale don Carlo Maria ebbe un ruolo non secondario, come dicono il secondo cognome, Ruiz, che lo colloca trai discendenti diretti di Carlo I e Maria Ruiz, come figlio, se non di Pietro II, di uno dei suoi fratelli, nonché le citazioni nei testamenti della nonna e di altri familiari (raccolti da Rosalia Francesca Margiotta nel quadro di uno studio condotto per conto dell’Università di Palermo) che confermano tale sua posizione in ambito familiare.

Ma questo conta poco, perché la biografia tracciata dall’Ortolani attribuisce tali meriti in ambito culturale – molti più di quelli indicati nella nota biografica del Comune di Palermo – da elevare il Carlo Maria in argomento al ruolo di Principe non solo dell’Accademia dei Riaccesi, al quale l’aveva eletto il Principe di Oneglia per i suoi alti meriti in ogni ambito del sapere, ma anche dell’intera classe intellettuale della Sicilia del XVII secolo.

Questo, per la verità, ci sembra un po’ troppo, anche perché di lui non restano scritti stampati al di là di alcune composizioni di carattere letterario. Ma sapere che nella penombra della Sicilia decadente dello stesso secolo attorno alla baronia di Gratteri potesse volgersi, in virtù del lustro di uno dei suoi membri, non importa se del ramo principale o di un ramo cadetto, l’attenzione del mondo intellettuale siciliano, è certamente motivo di orgoglio; infantile quanto si voglia, ma non certo del tutto ingiustificato trattandosi di un caso di elevato prestigio culturale.

                GIUSEPPE TERREGINO