Riceviamo e pubblichiamo

E’ passato più di un mese da quando il Sindaco di Castelbuono ha lanciato nello stagno delle professioni progettuali la pietra di una proposta controversa, ancorché innovativa. Nella lettera del Sindaco, infatti, si proponeva di “trasferire il Museo Naturalistico nei locali dove attualmente sono ubicati gli uffici comunali, creando anche uno spazio per il museo della corsa e il museo del risorgimento, spostando a San Francesco gli uffici comunali, tenendo conto che anche per i fruitori dei servizi comunali è molto più centrale e più accessibile con le automobili.[…] Con l’utilizzo decoroso del Parco delle Rimembranze e la trasformazione della scuola San Paolo in un centro/laboratorio dove ospitare le varie associazioni che operano nella nostra comunità, l’ipotesi di copertura di via Arco Monte, via Dafne e dietro i quattro Cannoli e il recupero definitivo della Chiesa Annunziata, creeremo il polo culturale e turistico della nostra Castelbuono.”
Alcuni cittadini hanno pubblicamente commentato scandalizzati, altri compiaciuti, il Sindaco ha invitato la cittadinanza a partecipare al dibattito persino durante un comizio, il Circolo del PD non si è lasciata sfuggire l’occasione per una precisazione. E gli architetti, quelli che hanno studiato la pianificazione territoriale, la redazione dei PRG, la storia urbanistica? Solo due professionisti, con commenti molto distanti ma proprio per questo interessanti, sono intervenuti sul tema proposto dal Sindaco, e Castelbuono non è seconda a nessuno neppure per numero di architetti pro capite. Poco più di un mese prima, sempre il Sindaco aveva lanciato la proposta di ripensare interamente ed unitariamente l’area che da piazza Castello raggiunge l’ex cineteatro Le Fontanelle passando per viale Castello e abbracciando idealmente l’intero maniero ad esclusione della piazza, con l’ipotesi di una progettazione che potesse coinvolgere l’interesse di imprenditori privati nella sua realizzazione riqualificando un’area oggettivamente marginale oggi ma dallo straordinario potenziale. Anche in questa occasione i progettisti castelbuonesi che hanno dato cenni di interesse sono stati soltanto due.
Eppure le occasioni offerte dalle proposte del Sindaco sono estremamente interessanti, non solo e non tanto per gli “oggetti” e le “funzioni” che cita, quanto per le potenzialità espressive e implicite “malgré lui”.
Ci ricorda il grande antropogeografo Vincenzo Guarrasi: “La città è un luogo fisico e opera su luoghi fisici. Come tale, deve necessariamente avvalersi di dispositivi atti a introdurre nuovi ordini spaziali entro un ordine spaziale già dato.”
Nuovi ordini spaziali scaturenti dalla interazione delle persone sull’ambiente e dell’ambiente sulle persone, con “responsabilità” in primo luogo dei progettisti e quindi anche degli abitanti, come ci ricorda la filosofa Laura Menatti: “Ciò che si delinea è un nuovo modello di abitante, che non sia semplice fruitore di paesaggio, nel segno della velocità, ma che abbia la dimensione della cura e della responsabilità come primari elementi del proprio vivere (responsabilità nei confronti del luogo e dell’altro). La responsabilità che, a mio parere, viene prima della libertà del singolo, è la capacità di rispondere (responsabilità viene dal latino respondeo) alla richiesta, alla domanda che il paesaggio stesso ci pone, nel suo interpellarci. Per ascoltare e accogliere questa domanda occorre educare lo sguardo, la percezione, la memoria. Occorre saper osservare la storia e il volto di un paesaggio. Si tratta di una complessità paesaggistica, che va oltre il bel panorama, la veduta che si risolve nel semplice visibile, ma riguarda la sedimentazione complessa del passato e delle possibilità del futuro. Il paesaggio è altro rispetto alla separazione tra luogo e non-luogo, è una polisemia e una scena sfaccettata vissuta e rappresentata. Il paesaggio come espressione di un luogo complesso di saperi territorializzanti, di buone pratiche, non è solo morta storia perché è ciò che, in maniera responsabile, noi siamo in grado di consegnare alle generazioni future. È attraverso di esso che costruiamo l’identità del presente e del futuro. Per questo non può essere ridotto alla mera nostalgia e all’imbalsamazione passatista, ma è la sua possibilità “futurativa”, è la progettazione per i venturi, per le generazioni future che dobbiamo tenere in considerazione quando siamo ad abitare un paesaggio, a modificarlo e a progettarlo.”
Insomma fa specie che i maggiori conoscitori delle trame più minute del nostro paesaggio urbano, gli architetti appunto, non abbiano colto l’occasione per porsi e porre domande, ad esempio, sull’”altra metà” del paese, si potrebbe dire da piazza San Francesco in su, o addirittura sul nuovo insediamento che si densifica sempre di più da Ponte Secco a San Guglielmo, da Vinziria a Bergi. Vasta zona del costruito, storico e non, che della sua alterità potrebbe farne una identità, potrebbe riscoprire vocazioni artigianali e commerciali, potrebbe accogliere forme innovative di residenzialità, potrebbe trasformare le innumerevoli unità abitative non più utilizzate in occasioni economicamente interessanti (abbandonando finalmente il vecchio mercato del vendere o affittare). Tutte zone dove il vivere quotidiano non può non imprimere segni e quindi cambiamenti.
A fronte, quindi, di una dinamicità inarrestabile, di cambiamenti dello spazio che non si possono evitare, la necessità di “governare” le trasformazioni diventa un imperativo che qualcuno – spero non gli architetti! – ritiene di eludere in nome di una soffocante conservazione: “È frequente ancora oggi il ricorso ad immagini dall’alto che sembrano voler dimostrare che ‘uomo’ e natura costruiscono inconsapevolmente opere d’arte; da qui a interpretare il paesaggio come espressione di un ordine divino o naturale e ‘giusto’ il passo è relativamente breve. La retorica della perdita, la nostalgia per un ordine immaginario che non tornerà più, sono peraltro parte di questa fascinazione quasi mistica per il paesaggio e per le sue sensuali o drammatiche geometrie. Ad essa si accompagna spesso la ricerca di una serie di modelli che investono nel paesaggio aspettative in grado di fornire una sorta di magico, per quanto atteso e pre-costruito, stupore di fronte al sublime, al terrifico, al senso di avventura e di infinito, al misticismo che la visione di un determinato spettacolo del territorio sa procurare. Questo groviglio di sensazioni, aspettative, modelli precostituiti, immagini masticate e mal digerite, spiega anche in parte l’ansia di fotografare che coglie molti di noi di fronte ad un paesaggio stupendo, come se avessimo un istintivo bisogno di fermarlo, di fissarlo, di congelarci, di fronte a quella visione, in un momento e in un luogo ideali.” (Il soggetto, il paesaggio e il gioco postmoderno di Claudio Minca).
Ma non fa specie solo l’assenza di un dibattito tra professionisti: la Comunità che abita – quindi trasforma – un luogo, un paesaggio, dovrebbe sentire l’urgenza di partecipare alle scelte che quel luogo e quel paesaggio governano, perché ha ragione il giovane dottore in lettere moderne Gaspare Giaramita, quando analizza i “Paesaggi sensibili in Conversazione in Sicilia di Elio Vittorini” ed afferma: “Il paesaggio non si limita ad essere una costruzione mentale, ma riceve al contempo le spinte imposte dalla formazione sociale di un determinato contesto, guidato da ideali e valori ben precisi;[…] il paesaggio è lo specchio della cultura e dei valori diffusi dai poteri dominanti sulla popolazione.” E forse invece è tempo, cogliendo l’invito alla partecipazione della lettera del Sindaco, che il rapporto di reciprocità in cui la Comunità incide sul paesaggio e il paesaggio incide sulla Comunità suscitando emozioni e sentimenti, stimolando la definizione di significati e valori, costruisca un elemento importante della qualità della vita dei Castelbuonesi affrontando la problematica dei luoghi come questione pubblica e quindi politica.

Silvia Scerrino