Le nostre città sono sempre più culle di anime ferite, si aggira nell’animo umano un “mostro” non facile da controllare, un’ospite inquietante direbbe il professore Galimberti, la depressione.

Troppo spesso parliamo di depressione senza capirci davvero nulla, alla mercè di luoghi comuni, parliamo di qualcosa senza conoscerla veramente, senza riuscire a capire fino in fondo il “dramma” di chi la vive, parlo della persona che ne è vittima, parlo della rete familiare ed amicale che inevitabilmente viene inghiottita da un vortice “mortale” di dolore e senso di impotenza, dove diventa inevitabile diventa chiedere aiuto alla medicina, seppur questa dipende dal modo in cui agisce non è affatto risolutiva.

“La depressione è roba da far tremare le vene ai polsi”!, qualunque tentativo di sminuire il problema è , non solo sbagliato, ma letale per chi vive sulla propria pelle questa brutta bestia, per capirla bisogna passare scrive il sociologo Bonomi “dall’io al noi”, bisogna “sentire” per capire.

Perchè ci si ammala di depressione? I motivi sono molteplici, in molti casi c’è un’origine ereditaria ,in altri casi un disordine molecolare che trova terreno fertile in una personalità fragile, lungi da me tuttavia volere affrontare l’aspetto prettamente medico del problema per il quale si rimanda agli specialisti, l’aspetto che mi interessava sottolineare e’ la scarsa attenzione che viene data al problema, spesso sottovalutato in alcuni casi, in altri confuso con stati di malessere che niente hanno a che fare con questa patologia, la depressione non è tristezza, la depressione è una malattia dell’anima e come tale và trattata, educando anche la gente a riconoscere il termometro delle emozioni, a saper utilizzare bene il linguaggio. Una cosa è dire sono triste, una cosa è dire sono depresso, le parole sono importanti diceva, Moretti.

C.G.Jung, scriveva: “la depressione è una signora in nero, quando appare non bisogna scacciarla, ma invitatela alla vostra tavola per ascoltare ciò che ci dice”. La depressione, la malattia del secolo si configura come un singolare stato d’animo che costringe la persona in una condizione di prigionia emotiva. Distrugge gli interessi della persona, li sgretola fino al punto di farli diventare sabbia, nella depressione non c’è più storia, ne speranza, il tempo diviene deserto. Si blocca qualunque percezione del cambiamento, si sprofonda nelle cose avvenute, che non mutano e poi affiora l’esperienza della colpa, di quello che si sarebbe potuto fare per arginare eventuali problemi ormai straripati.

Il tempo vissuto si frantuma, e non ci sono ne attese ne speranze, la morte comincia a parlare con un tono seducente, il paradosso è che la speranza non è del tutto assente, nella morte si spera che il grande dolore abbia fine, in questo filo sottile di “speranza” che resta, occorre comiciare a lavorare, recuperare il tempo dell’io, che è un tempo diverso da quello dell’orologio. Qui accanto al ruolo del medico, è rilevante, la presenza della famiglia, gli amici, che spesso tuttavia si dileguano, spaventati da qualcosa che appare indecifrabile, ispiegabile, quasi un capriccio per richiedere attenzioni, mentre, dietro quel volto triste si consuma una tragedia dell’anima, sminuire l’errore più frequente.

Questa malattia può venir fuori in qualunque momento, non solo a causa di eventi particolarmente importanti, può nascere anche quando situazioni interiori che fino a poco tempo prima riuscivamo ad armonizzare, nascondere, si incendiano e diventano incandescenti, incontrollabili. Di certo non nasce mai in poco tempo, è un tarlo che ha origini sempre molto lontane.

Il vuoto emotivo che accompagna la depressione, quando diventa insidioso guadagna spazio sottraendolo a progetti costruttivi, alla vita stessa. La malinconia sovrasta la persona non c’è nessun diario che riesca a contenerlo, il volume delle sensazioni è troppo al di là delle parole a disposizione, eppure Cancrini e prima di lui Schakespare urlavano “date parole al dolore”, la parola resta un potente strumento. Lo ricorda bene anche il professore E. Borgne , lo psichiatra che era presente nella stagione basagliana, l’uomo che esalta la fragilità, il tempo lento e le debolezze umane.

Borgne, ricorda che solo lo sguardo vigile, attento, presente insieme all’ascolto possono diventare un’importante antitodo al male, “gli psicofarmaci non sono come gli antibiotici che agiscono indipendentemente dal consenso del paziente” gli psicofarmaci agiscono se la “volontà” collabora.

Sul tema depressione, male oscuro molti medici, psichiatri si sono espressi cercando di dare definizioni e spiegazioni, tra i tanti mi piace pensare a Luigi.Cancrini, il quale diceva: “Nessuno si azzarderebbe a curare una febbre alta senza capire da cosa questa sia causata, allo stesso modo non si può curare la depressione, senza averne compreso la natura .”

Nella depressione c’è certamente un disordine molecolare, ma si guarisce solo se si fa un viaggio verso se stessi, una pratica farmacologica soltanto, sopprime l’ascolto, disumanizza l’uomo riducendolo ad un “caso” da rubricare in quadri nosologici. Kafka ci ricordava che è più facile scrivere una ricetta che parlare con un sofferente.

La nuova psichiatria è certamente più attenta a questo, il medico spesso vede non persone ma sintomi scrive Borgna, non percepisce vissuti, ma deragliamento dei comportamenti, pensa di guarire l’anima prescindendo dall’anima.

Chi lavora con la malattia psichiatrica deve essere educato a riconoscere le risonanze interiori, il malato è sensibile ad ogni sfumatura, parola, gesto. Tutto può ferirlo, in questo lo sguardo del medico è fondamentale, come quello dei familiari o di chi gli stà accanto, prendersi cura di una persona che soffre di depressione non è facile, si diventa intolleranti, spesso anche involontariamente cattivi, l’angoscia di non essere capaci di gestire la persona può diventare schiacciante, servirebbero centri di ascolto ed aiuto alle famiglie. L’ascolto è sempre l’apriti sesamo, la parola magica che apre scenari. Il paziente spera nel ritorno affettuoso ed attento dello sguardo del medico e di chi gli stà vicino, il depresso è capace di divorare l’anima di chi gli stà accanto, non sempre riesce a sentire che stà svuotando il mondo emotivo dell’altro con le sue continue ricerche di attenzione o con i suoi “ricatti affettivi.”

In psichiatria non ci sono certezze, un bravo psichiatra e medico in generale non puo mai avere la presunzione della certezza, può però suggerire strade, a loro penso ai medici al loro sguardo che mai dovrebbe essere di rimprovero, ma di accoglienza.

Dietro ogni malaombra, splende sempre una luce bellissima, il mio pensiero và al senso di responsabilità del medico al suo occhio clinico ed alla sua sensibilità che fa la differenza negli approcci terapeuti, alle famiglie che si sentono impotenti spesso e a te che soffri perchè tu possa non sentirti mai solo ed abbandonato, perchè non c’è peggiore forma di solitudine che quella di sentire il peso dell’abbandono. A te, che stai navigando in acque brutte, che tu abbia la fortuna di incontrare anime gentili, la gentilezza, con l’intelligenza dell’azione sapiente, sa essere rivoluzionaria, e a quanti usano in maniera inpropria la parola depressione, che imparino ad avere rispetto e consapevolezza di ciò che hanno e di ciò che possono perdere , il depresso non sorride più.

di Sabrina Miriana