Cultura e spettacolo

Premio Ruggiero II 2025 a Giuseppe Saja

PREMIO RUGGIERO II – EDIZIONE 2025
4 AGOSTO 2025, SALA DELLE CAPRIATE CEFALU’
Ringrazio il padrone di casa, il presidente del consiglio comunale di Cefalù, avv. Francesco Calabrese, per l’ospitalità concessa in questo che è lo spazio dell’ufficialità del municipio di Cefalù. Mi rivolgo ad amici e quindi consentitemi, con il permesso del sindaco, di non eccedere con i titoli.
Ringrazio il presidente dell’Associazione Culturale “Cefalù Città di Ruggiero”, l’amico, il ‘fratello’ Giovanni Biondo, il sindaco di Cefalù, Daniele Tumminello, il vicesindaco Rosario Lapunzina, l’assessore alla Cultura Tony Franco, le assessore Tania Culotta, Francesca Mancinelli e Laura Modaro, il presidente e la vicepresidente della Fondazione Mandralisca, Vincenzo Garbo e Maria Teresa Rondinella. Maria Teresa ha pure contribuito in modo decisivo alla composizione della locandina. Ringrazio ancora la presidente della Biblioteca Comunale, Santa Franco, l’editore Giuseppe Sciascia, il mio amico editore, tutte le autorità qui presenti. Un grazie ancora a Giuseppe Turdo per aver curato gli aspetti tecnici relativi all’amplificazione ed alla maestra d’arte Patrizia Milazzo per avere curato l’allestimento della sala. Ringrazio voi tutti per aver voluto condividere con me questo momento. Dedico questo premio ai miei genitori non più tra noi: come ho avuto modo di scrivere in passato in una dedica, “a mio padre per il suo amore contagioso per la cultura. A mia madre per la sua apprensiva presenza e per la sua innata generosità. Ad entrambi per il loro affetto”. Lo dedico ai miei familiari, a chi mi supporta e sopporta da tanti anni, al mio piccolo Puck, il mio folletto dei boschi, a chi non sarà mai una maschera, una forma. Mi sia concesso di ricordare, non retoricamente, i bambini vittime in questi giorni della barbarie di Gaza, di tutte le barbarie che, in quanto tali, sono l’esatta antitesi della cultura e del bello; quei bambini che, diceva Castelli, autore che tra un po’ ascolteremo e notoriamente a me caro, come le rondini “hanno il dono di rinettare l’aria dell’uomo dai parassiti, le abulie, le omissioni, le viltà…” Il mio discorso sarà breve, perché ho preferito proporre, con l’aiuto di Stefania Sperandeo e Pietro Carollo, che ringrazio, un testo in cui tre autori a voi noti, Castelli appunto, Sciascia e Consolo attraversano, con i loro scritti, Cefalù. È stato, forse, un modo per vincere l’imbarazzo della circostanza e tributare un piccolo omaggio al mio paese e con esso ringraziarvi.
Sono rimasto sorpreso di questo conferimento perché non ho mai cercato di fare cultura, di occuparmi di cultura per avere premi e a Cefalù ho inteso il “lavoro culturale”, come lo definì Luciano Bianciardi nel suo sempre attuale e omonimo romanzo, al pari di un piacevole e disinteressato servizio da rendere alla mia città. Fatta questa premessa, sono veramente orgoglioso di ricevere questo premio, così prestigioso, intitolato a Ruggero II, artefice e simbolo di quella multiculturalità di cui ai giorni nostri tanto si parla senza, spesso, praticarla veramente; anzi, negandola nei fatti. Ricevo questo premio considerandolo come un attestato di stima e spero di poterne essere sempre all’altezza. Molti di voi sanno che a me piace giocare con gli etimi, partire da essi per iniziare un discorso, per rivelare l’essenza delle parole, per circoscriverne i contorni. Credo nella parola che si fa cultura, nella sua natura primordiale, nella sua evoluzione, nel suo uso non banale. Credo nella parola che dà senso alle cose, che le invera, come si legge all’inizio del vangelo di Giovanni: “In principio era il Logos…” Accolgo questa lezione, nella nuova traduzione del “Libro dei Libri” curata da Enzo Bianchi, perché più che con la parola Verbum, con Logos si fa riferimento, più laicamente, ai significati di “parola, discorso, ragione, legame”. Logos, più di Verbum, è, com’è noto, “manifestazione di un’idea, “rivelazione di qualcosa”. Per un agnostico come me, la parola e la cultura, sia pure in una prospettiva laica, hanno comunque qualcosa di sacro: manifestano idee, rivelano la ricerca e creano legami. Proviamo a pensare ad un mondo in cui la parola, la cultura, supportate dalla ragione, potessero sempre e realmnte manifestare idee, rivelare verità, creare legami, addirittura cambiare in meglio il corso degli eventi: forse un’illusione, comunque necessaria. Credo nelle parole, nella letteratura che, pur nella loro problematicità, illuministicamente o cristianamente smascherano, mostrano, forniscono strumenti per capire qualcosa di più del nostro transito terreno, di questo mondo. Sono quelle parole, quella cultura che, senza infingimenti, si pongono dalla parte della verità, che denunciano la barbarie, il sonno della ragione che, come diceva e rappresentava Goya, genera sempre mostri, al pari di quelli che vediamo, sentiamo, tocchiamo in questi giorni. Le immagini, le notizie che provengono dalla striscia di Gaza, dall’Ucraina, dall’Iran, dalla Siria, dall’Africa sembrano essere la negazione di tutto questo. Potrebbe prevalere lo scoramento, la disillusione. Ecco, capire le ragioni profonde di tutto ciò, farlo con la nostra testa, comprendere come il dio denaro muova sempre le fila dei destini umani serve a fare in modo che le belle utopie non diventino definitivamente tragiche distopie. Il “pessimismo dell’intelligenza”, “l’ottimismo della volontà” di gramsciana memoria diventano poi letteratura negli autori di cui mi sono occupato e che Tony Franco ha ricordato. Le idee che si fanno letteratura, la letteratura che invera le idee! Ecco: in questo io credo!
Molti anni fa una persona a me cara, con la quale mi sono formato e che mi ha sempre seguito nel mio percorso, la prof.ssa Maria Di Giovanna, mi disse che dei miei libri, oltre a condividerne i contenuti, era piacevolmente colpita dalle dediche che li precedevano: una, più personale, l’ho già letta. Di tutte, forse due, brevi, danno icasticamente un’idea di quello che per me sono la letteratura e la cultura: una ricerca sempre in bilico tentata da persone che camminano su una corda tesa nel vuoto, che rifuggono l’ordine mentale precostituito, non suonano i pifferi della rivoluzione di vittoriniana memoria e non si fanno ingabbiare nelle mode, più o meno intellettuali, imperanti in un determinato periodo. Una è questa: “Ai precari di tutte le ‘ricerche’ ”; l’altra : “Agli esseri indomiti, ribelli, che nessuno riuscirà a riportare all’ordine”. Ecco, io ho sempre creduto in una cultura che, senza presunzione, sappia essere non violentemente ma realmente ribelle. Grazie

Giuseppe Saja

redazione

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