Società

Ludopatia: le campagne proibizioniste servono a poco

Corretta la decisione della Corte Costituzionale sul decreto Balduzzi perché l’obiettivo deve essere quello di educare

Per contrastare la ludopatia le campagne proibizioniste servono a poco, come non ha senso distruggere le vigne per eliminare l’alcolismo. Gli esperti del Centro San Nicola, specializzato nelle terapie di Recupero dalle Dipendenze spiegano perché la decisione della Corte Costituzionale di dichiarare illegittimo l’articolo 7 comma quater del decreto Balduzzi è corretta.

“Il decreto Balduzzi – spiega la dottoressa Alessia Marcaccio, direttrice clinica ed esperta di ludopatia del Centro San Nicola – vieta di mettere a disposizione, presso qualsiasi pubblico esercizio, pc o altri apparecchi connessi a internet che consentano ai clienti di scommettere e giocare online. L’approccio proibizionista serve a poco, l’obiettivo deve essere di educare a come si gioca in maniera spontanea. Anche perché il gioco – prosegue Marcaccio – fa parte della nostra vita, è una componente importantissima. Basti pensare che i bambini attraverso il gioco strutturano le prime relazioni interpersonali, e il gioco è uno strumento che permette di imparare a regolare le proprie emozioni”. L’educazione è uno dei fattori principali che porta a sviluppare una dipendenza: “Sempre più spesso i genitori, quando un bambino più piccolo si mette a piangere, non perdono tempo a capire quale sia il problema, ma gli mettono in mano un telefonino. E in questo modo sono i primi a insegnare ai figli che lo schermo, il giochino, è il regolatore emotivo. A quel punto, ogni volta che si manifesta il sintomo, lo schermo diventa la soluzione”.

Questo non vuol dire ridurre l’allarme sulla ludopatia, che purtroppo in Italia assume dimensioni preoccupanti e che richiede un approccio complesso. “Il primissimo intervento – spiega la dottoressa del Centro San Nicola – è di creare una rete di professionisti anche legali e commercialisti che lavorino sulla situazione debitoria. A quel punto si può intraprendere un percorso di recupero nel quale la prima cosa è la consapevolezza di avere un problema con il gioco”.

Sul profilo del giocatore patologico, la dottoressa Marcaccio sottolinea che “al Centro San Nicola abbiamo un’utenza maschile, mentre la componente femminile rappresenta sempre una percentuale molto ridotta. Le donne fanno più fatica a chiedere aiuto perché provano maggiore vergogna, maggiore solitudine. La maggior parte ha un’età che va dai 40 ai 60 anni, ma questo perché lavoriamo con persone che hanno già una buona consapevolezza di avere un problema di dipendenza. In un certo senso semplifica il percorso, perché non occorre lavorare tanto tempo sull’accettazione della malattia”. Non sono molti i pazienti al di sotto dei 20 anni, ma il numero sta crescendo, “la motivazione potrebbe essere nel fatto che l’adolescente si sente solo, non viene riconosciuto, non si sente ascoltato, non si sente parte integrante di un sistema familiare o di un sistema scolastico. Occorre fare un passo indietro, allora, e capire a quel ragazzo quali strumenti stiamo proponendo, che tipo di relazioni stiamo insegnando”. Con ogni paziente, comunque, “occorre lavorare a monte, e capire per quale ragione una persona finisce con l’appoggiarsi al gioco”.

redazione

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