“In fede” in TV su Rai 1. – “Solamente per Amore” nelle Parrocchie di Collesano e Scillato.Due imperdibili appuntamenti per conoscere il beato Livatino.Il 9 maggio 2021 il giudice Rosario Angelo Livatino veniva proclamato beato.A non permettere di cancellarlo dalla nostra memoria ci ha pensato “mamma” Rai.Infatti, domenica 4 maggio alle ore 22:50, Rai 1 trasmetterà il docufilm “In fede: Rosario Livatino”.
Il documentario, oltre a ripercorrere la vita del giudice con la testimonianza di familiari, amici e colleghi, si avvale di una intervista esclusiva a Piero Nava, il testimone oculare che ne denunciò i Killer. Lo ha fatto con grande coraggio: ancora oggi è costretto a vivere sotto copertura e con una nuova identità.


Il docufilm non solo ci farà conoscere la figura del giudice “ragazzino”, ma ci farà incontrare il cuore e il volto della Chiesa: la Sua maternità. Quella che non si lascia inquinare dalle tossiche nubi del potere. Da quei diversi “Caino” che alzano la mano contro i fratelli più “piccoli”, contro quella schiera di “Abele”, miti, indifesi, disperati. Con Rosario Livatino vedremo le braccia della Chiesa aprirsi alla ricerca della giustizia e della verità. Vedremo le Sue mani accarezzare sempre il volto della dignità di ogni uomo. Che va sollevato dal nero fango dell’ingiustizia. È proprio vero,la nostra “madre” Chiesa ci stupisce sempre. Come solo le mamme riescono a fare. E per noi lo ha fatto additandoci come beato il giudice Livatino. Ce lo ha donato con lo “scomodo” titolo di beato. Ci tocca, infatti, assumere la non facile postura dei figli per conoscere questo fratello maggiore. Ci tocca salire con le nostre gambe arrugginite, gli ultimissimi gradini della scala che poggia sulle pareti dei ventricoli e degli atri del Suo cuore di madre. Sì, perché i beati e i santi sono quelli che stanno più in alto. A noi il travagliato compito di iniziare questa scalata. Per osservare. Per contemplare. Per imitare.


Nella beatificazione di Saro, nelle scelte della sua vita dobbiamo scorgervi la via “stretta” che la Chiesa ci addita per non permettere che per noi il tempo della quotidianità sia la mesta celebrazione dell’isolamento, dell’individualismo, delle martellanti paure, delle speranze mascherate. Il tempo che consenta al peccato, al male e a ogni forma di criminalità organizzata, di accovacciarsi alle porte delle nostre Comunità. Vi è senz’altro a monte una sapiente e coraggiosa scelta pastorale-spirituale. La Chiesa ci vuole educare a rendere attuale e più evangelico il culto dei santi: roccaforte inespugnabile di fedeltà, di sicurezza per tutti. E a volte anche occasione di incassi ragguardevoli…
Oggi, Rosario Livatino, tra dazi, intelligenze artificiali, toto Papa, tregue e promesse di pace sanguinanti, tra laceranti isolamenti, inarrestabili forme di analfabetismo affettivo ed emotivo, è il beato della giustizia e dell’amicizia sociale. Il giudice ”ragazzino” ha sempre saputo ascoltare la persona che gli stava difronte, fosse anche un criminale. Era solito all’inizio di ogni processo dare la mano a ogni imputato. Ha visto tutti come fratelli. A un poliziotto che manifestava un pavoneggiante compiacimento per l’uccisione di un mafioso, il giudice lo ammonisce severamente così: «Chi crede prega. Chi non crede sta in silenzio».Leggiamo le pagine della breve vita di Livatino anche attraverso la visione di questo documentario, ma non a mo’ di rifioriti fioretti agiografici, non come eventi da annoverare negli archivi della tetra cronaca mafiosa. In esse vi sono delle scelte ragionate e pregate che hanno ricevuto solo dal Vangelo e dal Crocifisso, sempre sulla sua scrivania, la luce e la forza per diventare azioni non contaminate dal caso, da misture di compromessi politici, sociali, culturali, familiari. Scelte che portano l’impronta di Dio. Proviamo a “calpestarne” con infinita delicatezza qualcuna. Onorati di poterlo fare.Nel frontespizio della sua tesi, dopo la dedica ai genitori, compariva per esteso la scritta Sub Tutela Dei. Era il nove luglio del 1975. Da quel giorno le tre lettere siglate, S. T. D., le troveremo scritte in rosso in tutte le agende annuali. Il neodottore aveva intuito perfettamente che, con la brillante laurea in giurisprudenza, si chiudeva, per certi aspetti, il tempo della sua vita “nascosta” a Canicattì, la sua Nazareth. Dove era stato custodito dalle cure di mamma Rosalia e di papà Vincenzo e cresciuto culturalmente tra i banchi del liceo classico.


La luce della Verità che già infiammava la sua coscienza di uomo e di cristiano, con l’ingresso nel mondo della magistratura, lo conduceva pian piano tra le mura dei palazzi di giustizia prima di Caltanissetta e poi di Agrigento, la sua Gerusalemme.Saro non teme la morte. Ad essa si prepara come all’ultimo e personalissimo atto di ubbidienza a Dio. L’arrivo, già messo in conto, l’ha nascosto al cuore del suo prossimo. Un nascondere per proteggere la vita dell’altro. Ha rinunciato alla scorta, alle auto blindate per non permettere ad altri padri di famiglia di subirla a causa sua. Ha chiesto ai superiori di affidargli i processi più pericolosi per custodire i colleghi sposati. Ha eclissato il sogno di una moglie e dei figli per non lasciare una vedova e degli orfani. Ha protetto gli anziani genitori da ansie e tremori nascondendo accuratamente i laceranti e incalzanti travagli interiori che gli facevano da ombra in ogni movimento del corpo e dell’anima. Non ha mai fatto richiesta di trasferimento. Si muove, è in cammino verso Gerusalemme. Decisamente.Le tante notti insonni avranno trasformato la sua stanza in un pezzo dell’orto degli ulivi. Sicuramente Saro sentiva i passi e le voci dei suoi Giuda. Sicuramente avrà bagnato le lenzuola con le tiepide gocce del sudore della sua pelle. Quelle gocce che erano le lacrime silenziose di tutto il corpo. Quelle lacrime che i suoi occhi nascondevano a tutti. Quelle lacrime conosciute solo dagli occhi di Dio. Un vegliare a occhi aperti. Un chiedere a Dio la Sua protezione nel lavoro di
giudice. Questa, anche tra le mura del suo Getsemani, non è mai stata una supplica intimistica e pietistica tesa a scansarlo dalla morte di una mano assassina. Un grido martellante e stordente che si trasformasse in una assicurazione salvavita. Gli orizzonti sono altri. Il cultore dell’amicizia sociale chiedeva di porsi sempre e solo, sotto lo sguardo illuminante di Dio e della sua grazia, per sapere giudicare correttamente il fratello.Ne troviamo delle rocciose conferme in alcune dichiarazioni e scritti. A soli quindici anni in un tema in classe scriveva: «Leggendo e comprendendo la Bibbia, l’uomo ne riceve i migliori consigli perché la sua vita spirituale si svolga serena e senza compromessi, e chi ha spirito pacato affronta la vita con un coraggio e una abnegazione che ogni ostacolo viene eliminato». Ancora, il diciotto luglio del 1978, il giorno del suo eccomi ufficiale al servizio della giustizia, annotava nell’agenda: «Ho prestato giuramento. Da oggi sono in magistratura. Che Iddio mi accompagni e mi aiuti a rispettare il giuramento e a comportarmi nel modo che l’educazione che i miei genitori mi hanno impartito esige». Più avanti negli anni dirà ancora: «Il compito del magistrato è quello di decidere. Scegliere è una delle cose più difficili che l’uomo sia chiamato a fare. Ed è in questo scegliere per decidere, decidere per ordinare, che il magistrato credente può trovare un rapporto con Dio. Un rapporto diretto, perché il rendere giustizia è realizzazione di sé, è preghiera, è dedizione di sé a Dio».
Proviamo a “calpestare” gli ultimissimi passi dell’ultima corsa di appena ottanta metri del nostro beato.

Siamo sulla statale tra Canicattì e Agrigento. Saro, raggiunto da una prima pioggia di proiettili, lascia la sua Ford Fiesta addossata al guardrail. Perde, nel saltarlo, il mocassino del piede sinistro e gli occhiali. Lo hanno già raggiunto tre colpi di pistola. Ma di fronte al volto crudele degli assassini, non perde la forza di fare quell’ultimo salto di qualità che per lui univa giustizia e fede, il magistrato e il cristiano. Fino all’ultimo respiro, versando il suo sangue, vuole restare fedele al suo credo che metteva insieme il diritto al Vangelo: «La giustizia è necessaria, ma non è sufficiente e, può e deve essere superata dalla legge della carità che è la legge dell’amore verso il prossimo e verso Dio». «Gesù ha elevato il comandamento della carità a norma obbligatoria di condotta, perché è proprio questo salto di qualità che connota il cristiano».


Le ultime parole sono quelle proferite al termine della corsa della sua vita sul letto del torrente San Benedetto: «Cosa vi ho fatto, picciotti?». Una domanda. Quella che unisce la verità alla carità. Quella che invoca la redenzione, ma che invita alla conversione. Li chiama picciotti. Li riconosce e li invita a riconoscersi come coloro che sono la manovalanza della mafia. Sono degli esecutori. Devono e possono ravvedersi. Lui ha fatto solo il giudice. Il giudice cristiano. Fino alla fine.Grazie alla Chiesa, madre e maestra, dal 9 maggio 2021 possiamo averLo come nostro amico, un caro compagno di viaggio. Quest’anno possiamo conoscerlo di più e meglio visionando, domenica 4 maggio su Rai 1 alle ore 22:50, il docufilm “In fede: Rosario Livatino”.E con l’incontro “Solamente per Amore”, Martedì 20 maggio a Collesano presso la Sala della Misericordia e Mercoledì 21 maggio a Scillato presso il Santuario Maria SS. della Catena. Alle ore 21:30. Ascolteremo Tony Mira, giornalista dì Avvenire, ha scritto sul beato siciliano una completa biografia “Il giudice giusto”. Lo ha fatto raccogliendo le testimonianze di quanti gli sono stati accanto e hanno avuto l’onore di restare fulminati dalla luce della sua coscienza evangelica.Intanto, da Rosario Livatino cerchiamo di imparare che “la preghiera è solamente amore. Da cercare anche quando e dove cade il sole”. Questo per il giudice ragazzino lo hanno cantato “Artisti riuniti” in una bellissima canzone “Solamente per amore”. Da cantare come una preghiera.
don Franco e don Matteo