Attualità

Mario Cirincione. Primo anniversario dell’operaio morto a Campofelice. “Dopo un anno aspettiamo la verità”

Domani sarà trascorso un anno da quando Mario Cirincione, operaio edile di 49 anni, ha perso tragicamente la vita nei lavori di riqualificazione di un fabbricato, sepolto da un muro di cinta che gli è caduto addosso, in un cantiere abusivo a Campofelice di Roccella.

La Fillea Cgil Palermo domani alle 9.30 porterà una corona di fiori sul posto dell’infortunio mortale, in via Madonnina di Gibilmanna, contrada al confine tra Campofelice e Lascari. E nel pomeriggio alle 18 parteciperà alla messa di suffragio nella chiesa di San Michele Arcangelo, a Lascari.

“A distanza di un anno, non si hanno ancora risposte su di chi sia la responsabilità di quanto è accaduto – dichiara il segretario generale Fillea Cgil Palermo Piero Ceraulo – Per noi continua il percorso di vicinanza a tutte le famiglie che hanno perso un loro caro sul luogo di lavoro. E anche grazie alla costituzione del comitato dei parenti delle vittime, che si sta definendo in associazione, continueremo a rivendicare quanto già da anni chiediamo: maggiori controlli e maggiore sicurezza sul lavoro”.

La Fillea Cgil Palermo rilancia per l’occasione anche la sua proposta di una Procura speciale che si occupi di infortuni sul lavoro. “Oltre al dramma della perdita, abbiamo la necessità che i tempi della giustizia riconoscano il giusto peso e attenzione su un tema così delicato che nel 2024 ha determinato un record per Palermo e la Sicilia di morti sul lavoro. Auspichiamo una maggiore sensibilità da parte delle istituzioni. Dopo la prima settimana di attenzione, purtroppo tutto cade nel dimenticatoio. Ci dispiace notare come anche una parte di cittadinanza locale dimentichi dopo pochi giorni queste tragedie”.

A distanza di un anno, non si danno pace i familiari. “Proviamo tanta rabbia perché tutti sanno come sono andate le cose, è tutto scritto, ma ancora non abbiamo giustizia – afferma Massimo Cirincione, il fratello, che vive in Germania e lavora anche lui nel settore edile come capo produzione, in una fabbrica che produce cemento alle porte di Norimberga – Mio fratello era nello scavo e mentre lavorava al muro di cinta, l’escavatore gliel’ha buttato addosso. L’operaio che guidava la macchina era in nero. I testimoni, i colleghi, che hanno visto tutto, devono essere ancora sentiti”.

L’indagine, al Tribunale di Termini Imerese, sta andando avanti, a marzo ci sarà la terza udienza. La famiglia Cirincione è assistita dall’avvocato Giulio Bonanno.

“Chiediamo che la verità emerga, perché è lì davanti a tutti, inutile girarci intorno – aggiunge Cirincione – E’ chiaro che in noi, parte lesa, prevalga la rabbia. Non chiediamo giustizia per ottenere un indennizzo: vorremmo mio fratello vivo, se si potesse tornare indietro. Ma perché i responsabili non restino impuniti. I lavori nel casolare erano abusivi, non c’era rispetto della sicurezza, e sia il datore di lavoro, che il proprietario dell’escavatore e il proprietario del lotto, che era lì con i figli, lo sanno. Prima dell’ambulanza è stato chiamato il principale. Mia cognata non si perde un’udienza. Abbiamo piena fiducia nella magistratura”.

“Ancora oggi muore un operaio al giorno, non è sopportabile – prosegue Massimo Cirincione – Mio zio aveva due ditte edili, io e mio fratello siamo cresciuti nel settore, sappiamo come funziona. Prima di scavare le fondamenta, devi puntellare il muro, a maggior ragione se lavori a un casolare vecchissimo. Per risparmiare 1.500 euro, hanno fatto morire mio fratello. In Germania la ditta non sarebbe entrata in cantiere. Mio fratello, se non faceva quel lavoro, sarebbe stato casa, non avrebbe avuto un guadagno. Si sa da noi come funziona: o ti mangi la minestra o ti butti dalla finestra. Dobbiamo far arrivare la nostra voce, nel 2025 non si può ancora morire sul lavoro”.

redazione

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