Passare per il pronto soccorso di un ospedale verso poi un sospirato posto in reparto è, di per sé, un’esperienza che suscita timore e incertezza. Quando ci si trova in un contesto dove la propria salute è in bilico, ci si aspetta un ambiente accogliente, umano, dove la cortesia e il rispetto sono la base del rapporto tra paziente e personale medico. Tuttavia, l’esperienza di chi attraversa il pronto soccorso di Palermo spesso racconta una realtà ben diversa, fatta di numeri, lunghe attese e, purtroppo, una perdita di quella dignità che dovrebbe essere garantita a ogni essere umano.

Entrare in pronto soccorso significa, prima di tutto, diventare un numero. Il paziente non è più un individuo, una persona con una storia, delle emozioni, delle paure. Diventa un’entità anonima, un codice colorato su una scheda, in attesa che il suo turno arrivi. Ma quell’attesa, lunga e snervante, non è solo un’attesa di cure, è anche un’attesa di attenzione, di ascolto, di comprensione. Purtroppo, però, questi elementi sembrano evaporare nell’aria pesante e frenetica di un pronto soccorso sovraccarico.

La cortesia, elemento fondamentale in un momento di vulnerabilità, diventa una pretesa quasi irraggiungibile. Non si tratta più solo di gestire un sovraccarico di lavoro o di rispondere a richieste incessanti: in quel contesto caotico e stressante, l’umanità rischia di dissolversi. I pazienti si sentono abbandonati, soli, quasi invisibili. La mancanza di un sorriso, di una parola gentile, rende il percorso ospedaliero ancor più duro e doloroso.

Il rispetto, che dovrebbe essere il pilastro del rapporto medico-paziente, spesso evapora insieme alla cortesia. Non parliamo solo di rispetto per le persone, ma anche per la loro sofferenza e per la loro paura. Un paziente ha bisogno di sentirsi accolto, compreso e trattato con dignità, indipendentemente dalla gravità della sua condizione. Eppure, nelle corsie del pronto soccorso di Palermo, quel rispetto sembra essere un lusso che pochi possono permettersi.

L’attenzione, anch’essa, diventa un privilegio raro. Trovarsi di fronte a un medico che ti guarda negli occhi, che ti ascolta realmente, che si preoccupa di ciò che stai dicendo, appare quasi un miraggio. In un contesto dove il personale è sovraccarico e le risorse scarseggiano, l’attenzione diventa un terno al lotto: potresti essere fortunato e riceverla, oppure no. Ma per un paziente, quel piccolo momento di attenzione può fare la differenza tra sentirsi curato o abbandonato.

E poi c’è la dignità, quella che ogni essere umano dovrebbe avere garantita, soprattutto in un momento di fragilità fisica e psicologica come quello della malattia. Al pronto soccorso, però, la dignità rischia di diventare un’illusione. Quando sei costretto ad attendere per ore su una sedia scomoda, senza informazioni, senza sapere cosa ti aspetta, la tua dignità si sgretola. Ti senti solo, indifeso, a volte persino offeso.

In quel momento ti chiedi: cosa sarà di me? Cosa sarà della mia salute, della mia vita, della mia dignità? Sono domande che un paziente non dovrebbe mai porsi, perché il sistema sanitario dovrebbe garantire, prima di tutto, un trattamento umano, rispettoso e dignitoso. Eppure, in alcuni contesti, come quello del pronto soccorso di Palermo, sembra che questo sia diventato un traguardo difficile da raggiungere.

Questo articolo non vuole puntare il dito contro il personale medico, che spesso lavora in condizioni estreme e con risorse insufficienti. Piuttosto, vuole evidenziare un problema sistemico, che ha radici profonde e che necessita di essere affrontato con urgenza. La salute è un diritto di tutti, e con essa il rispetto, l’attenzione e la dignità. Non possiamo permettere che questi valori fondamentali vengano sacrificati in nome di una gestione inefficace o di una mancanza di risorse.

Ogni paziente merita di essere trattato come una persona, non come un numero.

Alberto G.