Si è conclusa la prima fase del progetto “ L’officina delle parole” promosso e condotto dall’Associazione Castelli-Di Pace. Hanno partecipato al progetto la classe VC coordinata dalla prof.ssa Nina Nocera  e la classe IIIC coordinata dalla prof.ssa Lina Mazzola.

L’Associazione Castelli-Di Pace ringrazia la dirigente scolastica Valeria Catalano, il prof. Giuseppe Peri, il Collegio dei docenti e il Consiglio d’Istituto per la sensibilità e disponibilità mostrate accogliendo il progetto  nel Piano triennale dell’offerta formativa dell’Istituto.  Un particolare grazie ai docenti Lina Mazzola e Nina Nocera per averne reso possibile la realizzazione.L’Officina delle parole ha lo scopo di promuovere  la conoscenza degli scritti di Antonio Castelli attraverso esperienze di lettura e ri-scrittura creativa.

Gli incontri con le classi sono iniziati con una sintetica presentazione della vita e delle opere di  Castelli  per dare avvio alle esperienze di conoscenza e creazione   a partire dai suoi testi, esperienze che sono state diversificate in base al tempo disponibile. Attività in sé concluse  per la classe VC nelle due ore di tempo disponibile, mentre nella IIIC  l’esperienza è stata impostata per un percorso di sviluppo negli anni successivi.Antonio Castelli ha dato una precisa auto definizione della sua scrittura: “ La mia vita e la mia scrittura  sono  anemofile, dove al posto del vento sta la musica” (Opere, p.259). E ancora scrive: “La conversazione. Come maneggio dei vocaboli, di vocaboli-cavalli nell’immenso e arioso “anello” del lessico.

  La lingua giornaliera, d’uso, più o meno a tutti i gradi di comunicazione, dal parlar familiare ai gerghi professionali e tecnici, ha troppi vocaboli cavalli che percorrono, essi soli quasi, prendendo spesso la mano al parlante fantino, itinerari già abbastanza segnati, e perciò agevoli e ovvi quanto inautentici. (…)

   Lo stile è per tanta parte un problema di manutenzione del vocabolario. “

(A. Castelli, Lettura del pensiero e di mani contadine, in  Entromondo, 1967)

Pertanto, una ricerca della corrispondenza autentica tra la parola e il sentire, tra la parola e  l’essere, dentro, nell’intimo. Una lettura dei brani mediata dalla sensibilità, dal vissuto, dalle visioni ed emozioni delle ragazze e dei ragazzi. Una lettura partecipata resa possibile  dalla ri-scrittura dei brani  applicando spunti metodologici tratti dalla grammatica generativa trasformazionale di Noam Chomsky  in assetto di micro didattica.

Intensa e partecipata l’attività su alcuni aforismi capaci di  “ridestare”   vissuti come quello della pagina bianca. Una situazione ricorrente prima di iniziare un componimento, lo spazio bianco dopo la traccia, le parole che mancano, l’incipit che non arriva, lo svolgimento a rosso fisso. “Claustrofobia da pagina bianca” scriveva Castelli.  Allora, perché non rivivere questa situazione  in  forma propositiva? L’invito a chiudere gli occhi sul foglio bianco, a concentrarsi per un po’ sulle sensazioni, sui pensieri, ricordi, emozioni,  che suscita. Scrivere la parola che li rappresenta. E con quella parola comporre  un aforisma da custodire come consiglio di un’amica/un amico.   

 Una lettura per imitazione è stata sperimentata con l’aforisma: “Nel cielo netto del paesino

“reattori” altissimi filano  vaporose  matasse di gas”. Un’istantanea, pensare ad un’immagine, una veduta, un panorama, una situazione  che ci ha   particolarmente impressionati e descriverla con una parola, utilizzare la parola per comporre un proprio aforisma. La produzione è stata sorprendentemente ricca. Uno per tutti: Nel  grigiume  della  strada  “pedine”  procedono come  soldati  in  marcia.

Ulteriore esperienza   della dimensione intima  è stata “ridestata”  con l’aforisma “Il Mattutino nelle case di città inizia con il solfeggio dei battipanni” e l’invito  a scrivere il personale inizio del Mattutino. Il coinvolgimento  ha portato ad osservare la parola Mattutino con l’iniziale  maiuscola. Perché? Diverse le risposte date;  è stata privilegiata quella più immediata che ipotizzava  fosse il titolo di un’opera musicale. Parte la ricerca su internet, si concorda sul risultato: Il mattino, opera di Edward Grieg (1876). Si ascolta il brano,  sembra di essere in mezzo al bosco con i suoni della natura che si risveglia al sorgere del sole.  A seguire un po’ di leggerezza con il brano sui soprannomi, ma con l’attenzione creativa  di scrittura applicando  il  “ principio d’individuazione”.

L’incontro si è concluso con l’invito alla “manutenzione del vocabolario”, sia nei vocaboli usati, sia con la lettura del loro contenitore.  Tutta l’attività è stata verbalizzata  e  raccolta in un quadernetto, una testimonianza plurale della parola e delle persone che la esprimono. Per la classe IIIC è stato previsto un  percorso più articolato disteso in tre anni sulla cultura contadina.  La “parabbula da Simana  Santa”, una delle testimonianze raccolte da Castelli dalla voce del suo amico Peppe, contadino di Castelbuono,   è stato  il testo iniziale delle attività. E’ stato scelto  perché rispecchia il ritmo, la struttura e l’espressione idiomatica dei racconti orali.  Il brano contiene anche la poesia che parla di un “picuraru”, del suo “stabiliddu”, di un “pedi di piraniu” e di un “bellu crucifissu”. Abbiamo provato a dare un ritmo più marcato alle parole  ristampando il brano  con una diversa composizione tipografica nel carattere di stampa e rimodulando l’impostazione dei righi con l’uso dei bianchi, si è così ottenuta  una disposizione del testo come versi di una poesia. Ciò  ha permesso di personalizzare la lettura: un verso, una voce. La lettura corale  è stata riservata ai versi di ritorno e di conferma. Dopo le attività di ri-scrittura è stata manifestata l’esigenza di leggere il brano in auditorium dove, nel secondo incontro,  è stata allestita una iniziale scenografia di posizione  coerente alla forma del luogo.   L’intenso coinvolgimento ha stimolato il desiderio di presentare la “parabbula” in pubblico, magari a scuola. Ma per realizzare un evento ci vuole organizzazione.  Come si intende procedere?  Ed ecco chi si propone come regista, chi viene indicato come fonico, chi per il montaggio  e chi per la scenografia. Nella discussione sono anche individuate le tappe  e le scadenze per la consegna dei lavori individuali. Per l’anno in corso l’obiettivo è limitato alla produzione di un video propedeutico e/o di accompagnamento alla presentazione pubblica. L’incontro si è concluso con la rappresentazione mimica dell’aforisma:  “  Come di certi alberi, dal cui fusto in crescita si possono  rilevare gli anni, attraverso le giunture, gli stacchi, visibili, così nell’albero genealogico della famiglia contadina, i livelli mentali e psichici; si possono dedurre per moto a salire  e per moto contrario, dall’infanzia alla vecchiaia dalla vecchiaia all’infanzia. Le radici della famiglia contadina si ripiantano naturalmente, interrandosi da  sé dalla cima.     (…) 

 Il contadino avventizio. Le braccia sono gli alberi che trattengono l’unità etnica e religiosa della classe,  delle dinastie contadine.”

Ragazze e ragazzi sono stati invitati a pensare alla similitudine albero-contadino e personalmente  cosa ci si sente; radici, fusto, rami, foglie, fiori, frutto? Momento di riflessione, quando si è pronti si  raggiunge il posto dell’albero e ci si posiziona  nella propria  parte per comporlo. Ed è con le emozioni suscitate da questa esperienza che ci siamo salutati con un arrivederci al prossimo anno.

L’Associazione Castelli – Di Pace ringrazia tutti i partecipanti per l’attenzione e la naturalezza mostrate.

A cura dell’ Associazione Castelli – Di Pace.