Cari amici,
Nel giorno dello Spirito e con il suo carisma mi congedo da Voi e Vi ringrazio per avere apprezzato le mie riflessioni sulla Liturgia domenicale che quasi prepotentemente Vi ho proposto, riprendendo le mie ‘Omelie mai pronunciate’ ma scritte nell’anno liturgico 2002. Tornavo da Messa con l’amaro in bocca per avere sentito parlare di tutto e di più tranne che della attualizzazione mistagogico-sacramentale della Parola di Dio.
Era la grande delusione di vedere il Popolo di Dio privato di del giusto nutrimento spirituale che il rinnovamento liturgico conciliare avrebbe dovuto produrre e si continuava a proporre non tanto la spiritualità tridentina, ma solo emozioni individualistiche e addirittura viscerali.
Appena due anni prima La Conferenza Episcopale italiana aveva voluto commemorare il 35° anniversario della chiusura del Concilio ed io ne parlai nella Parrocchia di Campofelice di Roccella, su invito del Parroco Mons. Raffaele Anselmo: ebbi a dire che dopo tanto Silenzio adesso si poneva la pietra tombale sul più grande evento culturale del XX secolo: per me infatti quando un evento importante diventa un fatto commemorativo, diventa sterile.
Io avevo fatto parte di quelli che, puristi e decisi nella prospettiva, Primo mane si erano recati al lavoro sostenendo il pondus diei et aestus senza percepire nemmeno il salario, ma raccogliendo solo la delusione del fallimento.
Iniziai la frequenza del Pontificio Istituto liturgico al terzo anno della sua istituzione: Dom Cipriano Vagaggini aveva tenuto la lectio inaugurale nell’a.a. 1961-62, facendogli corona i grandi Padri fondatori Dom Salvatore Marsili, Dom Burkard Neuhneuser, Dom Adrien Nocent, accompagnati nella Facoltà teologica dal Preside Mayer sacramentalista, dal Dom Magnus Loehrer, che costruiva giorno per giorno la nuova ecclesiologia nascente dal Concilio.
Ebbi colleghi in uscita come don Piero Marini, poi cerimoniere di Papa Giovanni Paolo II e Benedetto XVI; ebbi compagno di banco a teologia e professore di Paleografia, a Liturgia, il biblista e orientalista, Tommaso Federici, (ha pubblicato tra l’atro i testi della Liturgia greco-cattolica di Piana degli Albanesi). Scendevamo via breve sul Viale Aventino quasi giornalmente a prendere un caffè durante l’intervallo. Il 17 gennaio del ’63 una macchina ci schiantò sulle strisce pedonali e finimmo all’ospedale dell’Isola Tiberina per tornare, sempre via breve all’Ateneo, come il gatto e la volpe, con la mia testa e le sue gambe illese, mentre il prof. Nocent ci invogliava a ‘pissare’ per smaltire la paura e qualcuno ci accompagnò a casa. Dopo tre giorni venne a trovarmi a San Gregorio al Celio, dove dimoravo presso i Padri Camaldolesi, il Rettore dell’Ateneo Mayer. Immaginate il mio stupore e la mia gioia interiore. Questo l’ambiente in cui mi formai.
A proposito della delusione per il fallimento conciliare, ho recuperato in questi mesi un rapporto amicale quasi dimenticato per circa 40 anni con il Dott. Pippo Macaluso, di Petralia Sottana, mio compagno di stanza a San Gregosio al Celio, per una vita Dirigente scolastico a Milano.
Mi scuserai, caro Pippo, se socializzo l’ultima nostra telefonata: Mi hai narrato che nel 1994 partecipasti ai festeggiamenti del 90° compleanno di Dom Cipriano Vagaggini; era silenzioso triste e deluso per il fallimenti di cui parliamo.
L’assoluta inapplicazione del Concilio nella vita spirituale della Chiesa non è un parto della fantasia di un vecchio fanatico che vuol fare un po’ di chiasso in uscita. E’ invece la pervicace volontà e attività di riproporre il vuoto assoluto: beceri intimismi offerti a modello universale, riproposta di tutte le apparizioni della Madonna… TV 2000 è l’esempio del più grave degrado culturale del Cattolicesimo Italiano.
Perdonatemi amici per il mio modo passionale di congedarmi dalla vostra attenzione che sempre mi avete mostrato e dinanzi a questo ‘sfogo’ non cadete nell’errore della pirandelliana comicità persino ironica e sarcastica, ma abbiate la delicatezza dell’umorismo, perché allora vuol dire che mi sono fatto capire.
Ai rampanti che oggi stanno operando lo sfascio: che Dio Vi perdoni, ma non avrete modo di leccarvi le ferite quando poggerete sul vuoto assoluto e la FEDE non ci sarà più in questo mondo.Voi dite che la Chiesa è di Cristo e che ci penserà Lui, Cristo invece vi dice che la Chiesa siete voi e ci dovete pensare voi.
Pino Riggio.

Solennità della Pentecoste

“Lo spirito del Signore ha riempito l’universo, egli che tutto unisce, conosce ogni linguaggio” (Sap.1,7–Antifona d’ingresso). 

La profezia si è avverata. In questa celebrazione affermiamo per lo Spirito quanto ci veniva proposto per Cristo Signore qualche domenica addietro: Cristo è il capo del corpo che è la Chiesa, ne porta ad unità le membra e la esprime; lo Spirito porta ad unità tutti i linguaggi e tutte le culture nella Verità.
Questo è vero fin dalla creazione dell’uomo, perché ogni linguaggio ed ogni cultura hanno sempre espresso la dimensione spirituale dell’uomo, la sua ricerca del divino, la propedeutica all’evento della salvezza, che adesso lo Spirito opera pienamente.
E’ per mezzo dello Spirito che si perviene a Cristo: “nessuno può dire: ‘Gesù è Signore’ se non sotto l’azione dello Spirito Santo” ( 1Cor. 12,3b). E’ l’essenza della nostra fede: riconoscere la divinità di Gesù.
Ciò che è vero per la salvezza individuale, diventa realtà socio-spirituale nella Chiesa: a ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per l’utilità comune; anzi, Paolo attribuisce proprio allo Spirito la costituzione in unità di tutte le membra in Cristo: “Noi tutti siamo stati battezzati in un solo Spirito per formare un solo corpo, Giudei e Greci, schiavi e liberi; e tutti ci siamo abbeverati a un solo Spirito” ( 1 Cor. 7,12-13). La diversità e la molteplicità dei carismi viene portata ad unità perché “lo spirito del Signore conosce ogni linguaggio”.
Atti 2,1-11 (prima lettura) racconta l’epifania di Dio nel suo Spirito: al di là di ogni aspetto immaginifico, il racconto esalta la potenza della Parola che, pronunciata dagli Apostoli, non più paurosi e dubbiosi, ma forti e certi della loro fede, viene compresa da tutti , siano essi ebrei o gentili, provenienti da ogni parte del mondo. E’ lo Spirito che porta ad unità le culture, che fa loro accettare l’essenzialità e la semplicità del messaggio salvifico: nella Parola di Dio si ritrovano tutti i popoli e la salvezza è universale.
E’un punto essenziale, di grande attualità: mai come ai nostri giorni le culture vengono a confronto, a tal punto che sempre più parliamo di multiculturalità, come di una caratteristica delle società moderne. In prospettiva vediamo addirittura un futuro inquietante, senza renderci conto che l’inquietudine è provocata dalla nostra pochezza.
Se solo pensassimo che lo Spirito è di fatto operatore d’unità, nella comune ricerca della realizzazione dell’uomo, pur nella molteplice differenziazione causata dalle storie diverse di ciascuna cultura e civiltà, certamente vivremmo meglio il confronto.
Gli Apostoli non sono diventati greci, parti o elamiti… hanno semplicemente annunziato la buona novella. In genere noi, invece, sottolineiamo le differenze, creiamo barricate, spinti da diffidenza o da volontà di convertirli a tutti i costi, sopravvalutando la nostra capacità persuasiva e non credendo sufficientemente all’opera dello Spirito:
“ Nessuno può dire: ‘Gesù è Signore’, se non sotto l’azione dello Spirito”. Quanto opportunamente Papa Giovanni XXIII invitava a mettere in evidenza le verità e le esigenze che ci uniscono, anziché quelle che ci dividono!
Il brano evangelico (Gv.20,19-23) ci descrive molto più realisticamente il contesto in cui gli Apostoli ricevono lo Spirito ed il grande mutamento interiore che lo stesso Spirito opera in essi: Cristo è appena risorto ( il primo giorno dopo il Sabato) ed appare ai discepoli che se ne stanno rinchiusi per timore dei Giudei. Mostra loro le mani ed il costato, non tanto per farsi riconoscere, ma per fare memoria con loro della sua morte, proprio perché loro sbigottiti se la stanno raccontando, ci stanno ragionando sopra; e per fare chiarezza nelle loro coscienze che proprio da quella morte era iniziata un’era nuova, quella che aveva preannunciato quando aveva detto “Io vi battezzerò nello Spirito Santo e nel fuoco”. “Alitò su di loro e disse : Ricevete lo Spirito Santo” e li fece giudici nel grande confronto che Cristo aveva ingaggiato con il mondo (a chi rimetterete i peccati saranno rimessi, a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi), perché proprio lo Spirito stava testimoniando in favore di Cristo nelle loro coscienze.
E’ la lenta maturazione nello Spirito che fa loro capire, sapere, valutare, assaporare; che li rende forti e fa nascere in loro un nuovo e diverso rapporto con Dio; che, finalmente, li proietta all’esterno: “come il Padre ha mandato me, così io mando voi”.
E’ la stessa Parola che la Liturgia ci farà proclamare, come dichiarazione di attualizzazione, all’antifona di Comunione. Cosa stiamo facendo, infatti, se non celebrare la Sua morte e la Sua risurrezione? Lo Spirito Santo ci ha riuniti in unità ecclesiale, avendoci prima santificati nella fede in Cristo Signore, per cui noi rendiamo ogni lode a Dio Padre per mezzo del Figlio suo.
Da questa Eucaristia nasce il mandato della nostra testimonianza, da realizzare oggi, nella concretezza della nostra esistenza: “ Grazie al cibo spirituale che ci nutre per la vita eterna, sia sempre operante in noi la potenza del tuo Spirito” ( Orazione finale).