Esiste un angolo speciale del nostro corpo, dove tutto ha inizio e dove conserviamo memoria di ciò che accade nel bene e nel male, questo posto lo chiamiamo cuore, è una sorta di valigia itinerante che cammina con noi ovunque andiamo.

Paul Harbett , artista britannico , espone alcuni suoi lavori in tema del viaggio all’interno del palazzo Oneto di Sperlinga di Palermo, recentemente restaurato da un mecenate Roberto Billotti e adibito a spazio espositivo per eventi culturali.

Il palazzo carico di storia risale al 500, oggetto di interesse artistico e storico, tra le sue stanze  visse una dama, la cui storia ispiro’ scritti di Luigi Natoli, la dama tragica e Leonardo Sciascia, che parlo’ della farfalla di morte,  per la vicenda particolare che l’attraverso’.

La sua quella di Eufosina , una storia di amore e ribbellione alle convenzioni sociali che volevano ingabbiare le persone dentro ruoli e regole.

Eufosina era di una bellezza travolgente, di quel tipo di bellezza ingrado di accecare la ragione. La sua vicenda aleggia tra le stanze del palazzo che cosi diviene un motivo in più per essere visitato, perchè nei luoghi resta u ciatu di chi li ha abitati e la storia dei luoghi per chi ama non dimenticare è memoria che brilla.

In questo momento il palazzo ospita “Nomad” di Paul Harbett , che utilizza  l’arte come veicolo di impegno sociale.

In essa  riconosce la sua capacità di trascendere i confini culturali e sociali,  può diventare una forza per ispirare gli altri a scegliere nuovi percorsi di riflessione.

Nei suo dipinti le contaminazioni culturali e genetiche ed una profonda attenzione alle migrazioni, tema di grandissima attualità, alla luce degli ultimi e tragici eventi, l’artista durante un’intervista dice: 

 “Uso la pittura per esplorare le complessità della vita all’interno di una società multirazziale – sottolinea Paul Harbutt – e per riflettere su dove potrebbero incontrarsi i nostri terreni comuni. Essendo cresciuto da bambino a Londra negli anni ’50, ed essendo completamente immerso nella povertà delle conseguenze distruttive della seconda guerra mondiale, ho sperimentato in prima persona com’era essere infreddoliti e affamati. Eppure, ripensandoci, ritengo di essere stato benedetto, avevo un tetto sopra la testa e cibo in tavola, a differenza di tanti immigrati oggi. Pertanto, sono profondamente empatico con la loro pura disperazione”. 

Commosso dalla morte del poeta sudanese Abdel Wahab Latinos, annegato il 15 agosto 2020, insieme ad altri 50 immigrati nel Mar Mediterraneo che cercavano di raggiungere l’Europa su un piccolo gommone bianco, Paul Harbutt ha introdotto nel suo lessico delle immagini un motivo struggente, quello della valigia. Nella mano di un turista rappresenta la gioia e il cambiamento. Portata da un immigrato rappresenta la necessità, la sopravvivenza e la speranza di sopravvivere.

La valigia è un’immagine che ricorre moltissimo nei suoi lavori, luogo che contiene ciò che più di intimo ci appartiene, il nostro artista crea istallazioni, ma anche disegni di valigie ora chiuse ora aperte , chiuse nel viaggio alla ricerca di nuovi luoghi, chiuse nella ricerca di speranza, altre volte sono valigie aperte a causa di quelle tempeste che non hanno dato scampo ai tanti che scappano in cerca di luoghi sicuri.

Tra le tante istallazioni colpisce un grande scheletro con uno specchio in mano, si tratta secondo l’autore della valigia naturale  che ciascuno di noi possiede, un istallazione forte e provocatoria accompagnata da uno specchio che ci ricorda il nostro tempo e quello che continuamente facciamo rimandare le nostre immagini in una continua ricerca di attenzione dimenticando che la prima attenzione la dovremmo avere noi stessi su di noi e su chi siamo, un crogiuolo di identità incrociate, forse se ce lo ricordassimo finiremmo di essere tanto presuntuosi per quelli che chiamiamo “gli altri”…gli altri, siamo noi.