Debutta in prima nazionale nella Sala Strehler del Teatro Biondo di Palermo, mercoledì 25 gennaio alle ore 21.00, Ulisse Artico di Lina Prosa per la regia di Carmelo Rifici, con Giovanni Crippa e Sara Mafodda.
Lo spettacolo è prodotto dal Biondo di Palermo in coproduzione con LAC Lugano Arte e Cultura; scene, costumi e luci sono di Simone Mannino, le musiche originali di Zeno Gabaglio.
Repliche fino al 5 febbraio e al LAC di Lugano il 7 e l’8 febbraio.

Ulisse Artico sposta la geografia della dell’Odissea classica dal Mediterraneo al mare Artico. L’eroe contemporaneo riparte dalle terre polari, da una nuova Troia, da una nuova terra di macerie, sperimentando ancora una volta il naufragio, nel cui tormento, questa volta, non c’è una Itaca che l’aspetta. Lo scioglimento dei ghiacciai disegna un nuovo paesaggio continuamente in sottrazione, di derive inarrestabili, alla cui radice sta una moderna guerra invisibile. È la guerra strisciante che l’inquinamento e il surriscaldamento termico impongono al nostro mondo. Il passaggio delle macerie dallo stato solido a quello liquido rende la tragedia ancora più insopportabile di quella antica. Niente sopravvive, si perde il senso della continuità. Avanza il deserto della Storia. L’evocazione di figure mitiche, come Nausicaa e Calipso, non regge più perché anch’esse intossicate dalle emissioni di anidride carbonica. Al loro posto un nuovo sistema di sfruttamento delle risorse, un nuovo sistema di navigazione che inaugura una nuova scacchiera di ricchezze e di poteri, di turismo globale. Nuovi schiavi all’orizzonte dell’eroe polare. Rifugiato su un pezzo di ghiaccio, Ulisse naufraga nell’immenso arcipelago di isole bianche in costante assottigliamento. In questa decomposizione della realtà, avrà mai Ulisse la possibilità di produrre un ultimo gesto mitico?

«Il testo – spiega l’autrice Lina Prosa – attraversa luoghi apparentemente lontani, inaccessibili, ma sono luoghi che stanno cambiando il destino dell’uomo. Sono le terre di ghiaccio dove goccia dopo goccia scompare il volto concreto delle cose e dove il viaggio non è più “verso”, ma “all’inverso”, lungo la negazione dell’esistente. Non siamo più nel Mediterraneo. Non siamo più nella terra dei nostri miti. La barca dell’eroe Ulisse classico, è un moncone di ghiaccio. Il cambiamento climatico è un evento catastrofico che ha a che fare con fattori fisici, economici, politici, umani. Ma per me è anche un evento drammaturgico che cambia il rapporto poetico tra la parola e il suo paesaggio, tra il racconto e la natura che gli dona il respiro per essere creato, pronunciato. Siamo costretti ad elaborare un nuovo punto di vista, uno spostamento dello sguardo verso “altrove” che, data la materia artica in disfacimento, è come riaffacciarsi nell’essenza e di nuovo nel mistero più fitto delle grandi questioni di cui da sempre tratta il teatro. Primo fra tutti il destino dell’uomo che si struttura sulle domande più sfuggenti e antiche del mondo: chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo. Il cambiamento climatico con i suoi sconvolgimenti azzera il cammino umano già fatto, toglie tutte quelle certezze che ci ha portato a credere in un sistema-mondo sempre in progresso».

«Il testo, epico e poetico, esprime efficacemente il pensiero di Lina Prosa sul teatro – afferma il regista Carmelo Rifici – l’uso di una lingua poetica, costruita sull’invenzione letteraria, spesso commovente, non priva di un’ironia sagace, riesce a sostenere temi politicamente forti quali l’ecologia, lo sfruttamento ambientale, l’annosa e tragica condizione degli emigrati, senza mai cadere nella cronaca. Al contrario, la forza immaginifica del testo, l’invenzione di un “Ulisse non Ulisse” – un altro Ulisse, smitizzato e perso nel Mare Artico –, l’iper-lingua di Lina Prosa permettono ai temi di emergere senza retorica, esprimendo la disperata urgenza di un teatro che tenta ancora di veicolare dei messaggi senza temere di percorrere strade pericolose e articolate. Riuscita intuizione dell’autrice è quella di immaginare che un nuovo dramma epico moderno possa sorgere dal corpo inerme di una donna straniera, suicida per non essere uccisa. L’impostazione registica intende amplificare questa surrealtà grazie a un dispositivo scenico, sapientemente creato dall’artista visivo Simone Mannino, e ad un ambiente sonoro, ideato dal compositore Zeno Gabaglio, che immerge il pubblico in un’idea di teatro-suono, teatro-canzone. L’idea è quella di mostrare l’inquietante realtà di un continente in liquefazione attraverso lo sguardo sbigottito e annichilito di Ulisse».


Il primo incontro con Lina Prosa avvenne qualche anno fa al Piccolo Teatro di Milano. Lina propose, all’allora direttore Sergio Escobar, di collaborare, insieme alla Scuola del Piccolo che tuttora dirigo, ad un progetto artistico-pedagogico per Lampedusa: isola e territorio molto importanti per Lina, centrali nel suo impegno civile, letterario e politico. A causa di una serie di complicazioni, quel progetto, così necessario, non si realizzò. Lo scorso anno, Giovanni Crippa mi propose di affiancarlo nel lavoro di Ulisse Artico; accettai la sua proposta in quanto mi sembrò la giusta occasione di chiudere un cerchio rimasto ingiustamente aperto. Il testo, epico e poetico, esprime efficacemente il pensiero di Lina Prosa sul teatro: l’uso di una lingua poetica, costruita sull’invenzione letteraria, spesso commovente, non priva di un’ironia sagace, riesce a sostenere temi politicamente forti quali l’ecologia, lo sfruttamento ambientale, l’annosa e tragica condizione degli emigrati, senza mai cadere nella cronaca. Al contrario, la forza immaginifica del testo, l’invenzione di un “Ulisse non Ulisse” – un altro Ulisse, smitizzato e perso nel Mare Artico –, l’iper-lingua di Lina Prosa permettono ai temi di emergere senza retorica, esprimendo la disperata urgenza di un teatro che tenta ancora di veicolare dei messaggi senza temere di percorrere strade pericolose e articolate.
Giovanni Crippa è un Ulisse perfetto, tragicomico, che incarna la malinconia di un Ulisse che fu, l’ironia di un Ulisse che non può più essere. Nel suo viaggio è accompagnato da una giovane donna, qui interpretata da Sara Mafodda: non una novella Penelope, né una Nausicaa, né una Calipso, tanto meno una Circe, ma una donna, forse di etnia Inuit, morta suicida, che Ulisse chiama Pentesilea, a cui la drammaturgia affida il compito di iniziare una nuova narrazione nel mondo. Una nuova epica, un’odissea artica e femminile. Riuscita intuizione dell’autrice è quella di immaginare che un nuovo dramma epico moderno possa sorgere dal corpo inerme di una donna straniera, suicida per non essere uccisa. L’impostazione registica intende amplificare questa surrealtà grazie a un dispositivo scenico, sapientemente creato dall’artista visivo Simone Mannino, e ad un ambiente sonoro, ideato dal compositore Zeno Gabaglio, che immerge il pubblico in un’idea di teatro-suono, teatro-canzone. Al ritmo ossessivo di Le Temps des Fleurs di Dalida, altra ironica scelta di Lina, lo spettacolo “gira” – letteralmente – “in loop” intorno alla maschera di un perduto Ulisse. L’idea è quella di mostrare l’inquietante realtà di un continente in liquefazione attraverso lo sguardo sbigottito e annichilito di Ulisse. Insieme a lui abitano lo spazio scenico una zattera sgangherata che ruota all’infinito, una donna, qui ironicamente immaginata come una folle Dalida/Pentesilea, e la statua di una testa di cavallo ghiacciata – resto artico di un classico cavallo di Troia – che, nel corso dello spettacolo, si scoglie inesorabilmente.
Carmelo Rifici

Il testo attraversa luoghi apparentemente lontani, inaccessibili, ma sono luoghi che stanno cambiando il destino dell’uomo. Sono le terre di ghiaccio dove goccia dopo goccia scompare il volto concreto delle cose e dove il viaggio non è più “verso”, ma “all’inverso”, lungo la negazione dell’esistente. Non siamo più nel Mediterraneo. Non siamo più nella terra dei nostri miti. La barca dell’eroe Ulisse Classico, è un moncone di ghiaccio.
Il cambiamento climatico è un evento catastrofico che ha a che fare con fattori fisici, economici, politici, umani. Ma per me è anche un evento drammaturgico che cambia il rapporto poetico tra la parola e il suo paesaggio, tra il racconto e la natura che gli dona il respiro per essere creato, pronunciato. Siamo costretti ad elaborare un nuovo punto di vista, uno spostamento dello sguardo verso “altrove” che, data la materia artica in disfacimento, è come riaffacciarsi nell’essenza e di nuovo nel mistero più fitto delle grandi questioni di cui da sempre tratta il teatro. Primo fra tutti il destino dell’uomo che si struttura sulle domande più sfuggenti e antiche del mondo: chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo. Il cambiamento climatico con i suoi sconvolgimenti azzera il cammino umano già fatto, toglie tutte quelle certezze che ci ha portato a credere in un sistema-mondo sempre in progresso.
Credo che sia da aggiornare la fisionomia dell’uomo contemporaneo. Le sue paure sono nuove. Non viaggia più, alla maniera mitica. Ha una luttuosa percezione della perdita. Che ne è del suo corpo? L’Uomo-Ulisse erra per le terre polari, vive una Troia liquida, una nuova terra di macerie e di tempeste, ma questa volta, non c’è una Itaca che l’aspetta. Forse è questa la ragione di una tragedia epocale?
Il passaggio delle macerie dallo stato solido a quello liquido disegna un paesaggio continuamente in sottrazione. Non concede “ritorno”. Svanisce il concetto stesso di reperto. Non c’è archeologia. Ma dal lato della mia responsabilità di drammaturga, la scrittura non è semplicemente una presa d’atto, ma è denuncia, bisogno di tornare a cantare l’uomo con le sue sfide in un contesto che è l’esistenza ad assegnargli e non il sistema dell’accumulo e del profitto a tutti i costi. Nel testo anche Nausicaa e Calipso sono intossicate dalle emissioni di anidride carbonica. Attenzione! Un nuovo sistema di sfruttamento delle risorse, un nuovo sistema di navigazione e di trasporto veloce delle merci inaugura una nuova scacchiera di ricchezze e di poteri. Nuovi schiavi. E i fatti migratori di Lampedusa? Un espediente per distrarci dalle scelte “superiori” fatte senza di noi.
Che fare? Dare ascolto al singulto mitico. Come quello di Ulisse Artico, che dinanzi al cadavere di una donna della tribù Inuit, nucleo poetico della catastrofe, ritrova i valori della sua appartenenza, scopre una nuova lingua, straniera. Scrive l’Odissea Artica.


Teatro Biondo di Palermo
Sala Strehler, dal 25 gennaio al 5 febbraio 2023 – prima nazionale

Ulisse Artico
di Lina Prosa
regia Carmelo Rifici
con Giovanni Crippa
e con Sara Mafodda
scene, costumi e luci Simone Mannino
musiche Zeno Gabaglio

assistente alla regia Ugo Fiore
assistente alle scene Giuliana Di Gregorio
realizzazione scene Atelier Nostra Signora
costruttori Giuseppe Grippi, Pablo Crichton
direttore di scena Sergio Beghi
coordinatore dei servizi tecnici Giuseppe Baiamonte
elettricista Marco Santoro
macchinista Giuseppe Macaluso
fonico Manfredi Di Giovanni
capo sarta Erina Agnello

produzione Teatro Biondo Palermo
in coproduzione con LAC Lugano Arte e Cultura

durata: 1 ora

Calendario delle rappresentazioni:
mer. 25 gen. ore 21.00
gio. 26 gen. ore 21.00
ven. 27 gen. ore 17.00
sab. 28 gen. ore 17.00
dom. 29 gen. ore 20.00
mar. 31 gen. ore 17.00
mer. 1 feb. ore 21.00
gio. 2 feb. ore 21.00
ven. 3 feb. ore 17.00
sab. 4 feb. ore 17.00
dom. 5 feb. ore 20.00