Quanto affermato dal sindaco Mario Cicero nel comizio che ha tenuto a Castelbuono il 6 gennaio scorso, in piazza Margherita ci ha lasciato perplessi e ci induce a fare delle riflessioni. Secondo il suo pensiero, i genitori castelbuonesi sarebbero colpevoli di aver indotto i figli a conseguire una laurea per la quale, poi, sono stati costretti a dover cercare un lavoro fuori regione. Riteniamo che la sua analisi sociologica, riguardante un fenomeno correlato a vari e complessi aspetti di un territorio, sia perlomeno riduttiva, tanto che l’Italia resta il fanalino di coda circa il numero dei giovani che conseguono titoli di studio oltre la soglia della scuola dell’obbligo.


Il sindaco ha giustamente parlato delle potenzialità del diploma conseguito negli ITS, istituti di formazione di secondo grado che assicurano specifiche professionalizzazioni, al momento più diffusi nel nord Italia che al sud e nel nostro territorio, ma non crediamo assolutamente che la scelta di un percorso universitario sia così facilmente interscambiabile con un percorso di istruzione superiore. A differenza del sindaco, noi riteniamo che il fulcro del problema non risieda nel trend di scelta formativa dei giovani, ma piuttosto nella carenza di programmazione politica. Al sud è stata deficitaria, senza che Castelbuono faccia eccezione.
Crediamo che la necessità di figure professionali laureate o diplomate dipenda molto dall’offerta dei singoli territori, quindi dalle politiche per il lavoro che li ha interessati, per cui certi istituti di formazione superiore nascono e sono frequentati in stretta relazione all’offerta territoriale. È molto difficile che i ragazzi possano iniziare da zero attività imprenditoriali che non hanno alcun retroterra nel territorio, solo per avere frequentato scuole all’avanguardia in quanto formative sul piano tecnico. Senza dimenticare che la burocrazia non aiuta, a cominciare dalla lunga trafila per l’apertura di un’impresa. E’ chiaro che i giovani vadano a conseguire diplomi professionalizzanti specifici se l’inserimento lavorativo è garantito, quindi in luoghi dove esiste già una base su cui innestarsi con il proprio lavoro portando l’innovazione e la professionalità apprese studiando.


Il problema locale, a nostro avviso, non è solo rappresentato da coloro che hanno scelto di fare studi universitari. In proposito, l’idea della presunta imposizione della famiglia fa un po’ sorridere. I laureati – e questo è l’altra faccia del problema – se trovassero le giuste opportunità potrebbero rimanere al sud, poiché non ci sono ragioni scientifiche per le quali certi settori lavorativi debbano trovarsi obbligatoriamente fuori dalla Sicilia. Se, invece, coloro che rimangono al sud, con laurea o diploma che sia, devono accontentarsi di lavorare in settori che non possono scegliere e senza la giusta dignità lavorativa, sottopagati o senza essere messi in regola, pensiamo veramente che l’amore per la propria terra possa fare accettare lo sfruttamento?
Abbiamo la sensazione che il sud continui ad essere pensato come una sorta di angolo di paradiso cristallizzato in cui solo i servizi turistici e l’indotto lavorativo di riferimento sembrano poter essere incoraggiati. Ma il sud può avere tutto, a cominciare dalla vasta gamma di attività professionali che riguardano le trasformazioni del clima e l’obbligo di ridurre l’impatto ambientale, per finire a tutti quei settori che culturalmente e tradizionalmente lo caratterizzano. Ma tali lavori devono essere ripensati in termini innovativi e di filiera. E senza la visione politica, le parole rimangono vuoti slogan utili solo ad ammaliare chi non ha memoria storica.

Costituente per Castelbuono