Nel corso dell’ottava edizione del Simposio d’Arte, tra i tanti artisti presenti in quell’atmosfera gioiosa, alcuni hanno mostrato un entusiasmo particolare e tra questi sicuramente Maurizio Russo, Giovanni Calamia e Daniela Salamone che hanno manifestato il desiderio di ritornare a Cefalù con una mostra collettiva, nella suggestiva sala ottagonale di Santa Caterina, sulla piazza che accoglie il sito Unesco.


In particolare, Maurizio Russo ha abbracciato il progetto della mostra e lo ha portato avanti fino all’inaugurazione di giorno 4 maggio. La collettiva può, quindi, considerarsi come una prosecuzione del Simposio, cosa che sicuramente farà piacere a Roberto Giacchino, Presidente dell’Associazione Cefalù Città degli artisti, ideatore e curatore delle otto edizioni del Simposio. Parlo di prosecuzione, ma non solo, perché allo stesso tempo è un ampliamento e un arricchimento con la presenza di altri quattro artisti: Pino Buscemi, Lucia Parrinello, Emilia Valsellini e Loredana La Placa. Come abbiamo scritto in epigrafe nel catalogo del Simposio (di prossima pubblicazione), “nessun fiume è grande e ricco di per sé, ma è il fatto di ricevere e convogliare in sé tanti affluenti a renderlo tale” (F. Nietzsche). E in questo fiume che cresce e si arricchisce è bello scoprire nuovi mondi e nuove bellezze, nello spirito della condivisione che ci deve fare uscire dall’individualismo, tipico della nostra società, ma che si è accentuato negli anni tristi che abbiamo vissuto e stiamo vivendo, tra pandemia e guerra, anni in cui abbiamo utilizzato metafore belliche nella lotta contro il coronavirus per poi scoprire stupefatti che la guerra, rimossa dalle nostre coscienze di occidentali, è arrivata davvero. È importante quindi più che mai uscire dalle proprie case, dai laboratori, dalla chiusura per aprirci nuovamente al mondo e alla bellezza, nello spirito di condivisione per il piacere di stare insieme, promuovendo bellezza, nella consapevolezza che l’arte ha una funzione civile, formativa, educativa, con la speranza che spinga gli animi a cancellare le brutture del mondo. E fanno sperare le immagini che arrivano dai territori devastati dell’Ucraina, quella di un vigile del fuoco che tra le macerie cerca di portare in salvo i libri o quelle relative al disperato tentativo di mettere in salvo le opere d’arte, a Odessa e altrove.


E proprio per questo che, volendo in maniera molto breve presentare i sette artisti della “Mostra collettiva di pittura e scultura”, vorrei partire da Loredana La Placa, perché è l’artista stessa che in diverse occasioni ha confermato la necessità di uscire da se stessa e ha dichiarato che proprio durante il lockdown ha avvertito la necessità di portare le sue emozioni su tela per avere la possibilità di rivivere i bei momenti trascorsi. In particolare il suo rapporto con il mare, intenso e profondo, che ritorna nelle sue tele, il mare delle isole insieme alla natura e agli odori delle rive e dell’entroterra, in cui tutti i sensi sono coinvolti. Si tratta di superfici cromatiche, ricami di colori, trame e orditi, ricchi intrecci di forme fluttuanti, frammenti del mondo dei ricordi: è la necessità di far esplodere il mondo interiore, di liberarlo e portarlo all’esterno, come una fuga che muove da dentro. Una necessità che parte da uno stimolo musicale, da un sogno, o da un sogno rievocato da una musica che diventa colore, e ogni colore ha un suo racconto. L’obiettivo è di trasformare le note in colore, in una meravigliosa sinestesia. E le sue opere riescono sempre a coniugare infinite emozioni ed infinite sensazioni, sintesi di tutte le chiavi sensoriali per un approdo avvolgente, “Enveloping”, appunto. Le opere sono realizzate semplicemente con le mani, senza strumenti particolari, con l’obiettivo di fissare sulla tela un sentimento perché, come afferma la pittrice “i colori parlano, basta lasciarli liberi, come le onde dell’oceano”. Grazie di cuore per avere accettato di essere qui.
Come ho già detto, il motore della mostra è stato Maurizio Russo: le sue realizzazioni scultoree esaltano le caratteristiche espressive e rispecchiano l’eccellente talento creativo nel realizzare artigianalmente lampade e piantane con innesti luminosi nei legni di mare, materiali naturali recuperati e ricercati nelle spiagge e ridati a nuova vita. Dal 2020-2021, espone stabilmente con artisti internazionali che arredano il museo-albergo “Atelier sul Mare” a Castel di Tusa (ME) di Antonio Presti, l’ideatore della Fiumara d’Arte. Come ho letto su “Quotidiano Gela”, “si tratta di legni raccolti in spiaggia, ma sapientemente ripuliti e carteggiati per rimarcare quelle forme naturali forgiate dalla natura. Solo l’inserimento della luce li consacra a lampade e piantane o, ancora, a particolari sculture. Sono nate durante il lockdown […] Si è lasciato trasportare dalla sua passione rispolverando quei legni che custodiva gelosamente e timidamente in un angolo della sua cantina ormai da troppo tempo”. L’artista stesso, in diverse dichiarazioni, ha parlato dei suoi materiali naturali che la natura regala, che diventano parte integrante di noi stessi, della nostra vita, della nostra quotidianità, con opere che lasciano spazio di vitalità in attesa di essere apprezzate e, aggiungo, anche per l’importante funzione ecologica che l’arte del riciclo comporta.
Nelle opere pittoriche di Pippo Buscemi vibra il Mediterraneo e vibrano le luci e i colori del Meridione, luci e colori unici, irripetibili. E con una citazione tratta da “Himeralive”, le sue opere “sanno raccontare la poesia dell’artista in questo Mediterraneo da scoprire e riscoprire”. Per l’artista, come ha dichiarato in un’intervista, l’arte è come primaria esigenza, è non poter vivere senza l’odore dei colori, con una ricerca di un’unicità che comporta sofferenza, come una religione che è un profondo fatto interiore da mostrare agli altri con timidezza. Anche in questo caso prevale la fusione dei sensi, come rendere con colori e forme anche il ronzio di un’ape. C’è una base istintiva, quasi primordiale nelle sue opere: natura, alberi, papaveri, campi di grano, saline, tramonti… L’artista fonde realtà e immaginazione in un movimento della natura che diventa un movimento dell’arte: per questo parla di ecofuturismo, impegno nell’arte che diventa impegno civile. Impegno civile che ha trovato anche altre strade come quella alla Cala di Palermo, dove la pittura ha incontrato e abbracciato l’autismo dei bambini ucraini, il 2 aprile 2022, con la sua direzione artistica, presenti anche i nostri Maurizio Russo e Daniela Salamone.
Giovanni Calamia realizza opere scultoree con radici di ulivo, una passione che nasce nel 2010. Tramite l’ascolto e l’osservazione, le mani cominciano a scolpire e si confondono con la materia e quando il legno viene levigato e accarezzato nella sua forma, diventa vivo, conseguendo una seconda vita. Come ho letto su “Siciliando”, durante la creazione e la trasformazione, l’artista quasi sente respirare le sue opere durante la loro trasformazione. Le radici di ulivo, indirizzano le sue mani prima con la tecnica, poi via via, con l’intuito, quasi suggerendo la visione realizzativa finale dell’opera. Ho sempre pensato che l’ulivo sia l’albero scultoreo per eccellenza, con le sue nodosità e le sue contorsioni, per questo è evocativo di mondi altri e per questo dalle sue radici possono nascere sculture della terra, ma anche del mare, o esseri mitologici, o capricci formali, o maschere vibranti nell’aria. Scolpire le radici dell’albero d’ulivo, con pazienza e emozione, è come scolpire il tempo; il tempo narra la storia come le piante narrano la propria vita: lo scultore si mette in ascolto e poi comincia a modellare le radici, seguendo la propria voce interiore e la forma naturale delle stesse radici.
Per Lucia Parrinello l’arte riempie la vita con colore e calore, arte come forza che si impone alla vita quotidiana, forza che trasporta in una dimensione spazio-temporale diversa dalla vita di tutti i giorni. La sua arte offre infiniti spunti di riflessione in un circuito comunicativo con l’osservatore che interpreta, coglie le variazioni di stile a seconda del tema. E questo accade soprattutto con i volti di donne, donne poste di fronte a un bivio, ad un passaggio, con trasparenze e ambiguità, con linee semplici, a volte accennate ed evanescenti. E poi, continuando a giocare con i titoli delle sue opere, che in questo caso direi diventano parte indissolubile dell’opera, il senso del limite, della proibizione per cui qualcosa non si può fare, limite che genera pena ed emarginazione. Insieme a questo, il sentimento del tempo che passa, delle trasformazioni e di ciò che viene irrimediabilmente perduto. In opposizione a tutto ciò, un ulivo forte, rigoglioso, ricco dei colori della terra, quasi scultoreo, verso l’alto ma ben radicato al suolo, proiettato verso il futuro e verso l’ignoto e che, con una importante carica simbolica e una forza cromatica notevole, ci stacca dal presente e ci dà speranza.
Daniela Salamone si diploma all’Istituto d’Arte di Monreale specializzandosi come mosaicista. “Attratta da materie come il vetro e il gesso, la sua necessità di ricerca è di non essere vincolata a schemi e superfici. Infatti i contorni dei suoi lavori assumono forme diverse e la superficie è disomogenea. Impronta con questo stile le sue prime mostre. Nel 2019 partecipa alla collettiva “arte Sicilia-Palermo” presso palazzo Zenobio (Venezia) a cura dello storico e critico d’arte Prof. Giorgio Gregorio Grasso. Da qui avviene un radicale cambiamento, il suo modo di fare arte trova ulteriori veicoli espressivi, si concentra solo sulla superficie, che con tecniche adattate alla tela continua ad essere corrugata, liscia o ruvida affinché questa risulti apprezzata sia visivamente che al tatto, difatti sono questi i due sensi che vuole sfruttare per suscitare interesse” (dal Catalogo del Simposio). Qualche titolo significativo del suo modo di sentire: “Confini” e “Stati d’animo”, per cui da una parte emerge la necessità di superare i limiti per raggiungere un’energia che trova la sua espressione nei colori, dall’altra la necessità di penetrare nella propria anima e, nel silenzio, farne emergere le forme. I titoli stessi raccontano storie: “Il mare dentro”, “Giallo nell’anima”, “Le forma del colore”. Usa materia e colore per dare voce alle emozioni, siano esse provocate da uno stato d’animo, o da una visione realistica, attimi in cui l’ispirazione varca ogni confine e diventa energia in un processo circolare senza inizio e senza fine.
Vorrei sintetizzare l’arte di Emilia Valsellini, in arte Valemi, dicendo: la natura dentro, la natura oltre e viaggio, e anche il viaggio è dentro e fuori di noi, perché il viaggio che si fa dentro è il più complesso e può far smarrire nei labirinti della psiche, per scoprire poi che l’oltre cui aneliamo, probabilmente, è proprio dentro di noi. Viaggiare non sempre vuol dire allontanarsi, può semplicemente voler dire partire da un segno e seguire il flusso interiore che spinge ad andare oltre, senza regole, sulle orme di quella natura che è dentro di noi e fuori di noi e che è il posto più bello in cui abitare, anche oltre l’arcobaleno, anche oltre la collina. Sicuramente questo suo interiore e profondo rapporto con la natura, nasce dai luoghi da lei frequentati da sempre. “È una pittrice nata e cresciuta nella valle dello Jato: una profonda gola dell’entroterra siciliano che conduce rapidamente dai bianchi picchi calcarei, dai vigneti a confine del bosco, alle limpide acque del Golfo di Castellammare […] Questa è la mia terra, sembrano dire le sue opere, pensate come un reportage d’immagini; non un racconto ma tante emozioni di una gita durata decenni […] Per ogni soggetto Emilia Valsellini sceglie una tecnica, fra le tante possibili quella che meglio può rendere l’emozione appena provata. È come cambiare obiettivo, stampare in bianco nero, usare carta lucida o decidersi per una più porosa superficie di stampa”. (Massimiliano Reggiani e Monica Cerrito)
Per chiudere: sono tutti artisti provenienti da altri luoghi della Sicilia, che con grande gioia hanno voluto esporre nella nostra città. Per questo, oltre ad aver dato loro il benvenuto, non posso che augurarmi che il nostro incontro possa ancora ripetersi.

Rosalba Gallà

La mostra può essere visitata fino a domenica 8 maggio 2022