Un tempo a Castelbuono c’era un elemento distintivo che accumunava tutti i cittadini, di tutte le generazioni: era la castelbuonesità. Non era un atteggiamento, forse un simbolo riconosciuto e riconoscibile, essenza ed anima e mai apparenza.
Era senso del dovere e pretenziosa di diritti collettivi, gentile ed accogliente, affascinava con la sua ironica intelligenza, sapeva fare teatro inventando il veglione per prendersi gioco di se stessa. Sapeva giocare così bene a calcio che anche i più disincantanti correvano o campi sportivi per il Torneo delle Madonie ed ammirare le gesta, fra i tanti, di Masiniddri, Mattia Alaimo, Ancili Guarnieri e Vicinzini Campaniddri oltre che Luigi Failla a cui è stato intitolato l’impianto; campo, il cui manto appena rifatto, è stato profanato e distrutto dall’uso come parcheggio.
Era rispettosa a tal punto che gli avversari politici una volta scesi dal palco dei comizi usavano andare insieme al bar oltre che organizzare escursioni in quella montagna tanto amata da esser citata nello slogan del periodico più longevo fonte di notizie per migranti in terre assai lontane. E se a seguito di dure le lotte politiche per la manna o l’edilizia qualcuno veniva fermato e rinchiuso all’ex carcere, amici ed avversari si mettevano sotto le finestre dell’edificio per improvvisare una serenata al sorpreso detenuto.
Era un sentimento corale. Si ammiravano i luoghi come i più belli del mondo e si arrivava a dire ca paisi comi a cchisti mancu a Merica, tipica frase pronunciata dall’emigrante che, una volta rientrato in paese, giunto a Purteddra i Muntiniviri finalmente si sentiva a casa. Il successo di uno era il successo di tutti, senza gelosie. Le Istituzioni sacre a prescindere dai risultati elettorali; e quando cariva un Sinnacu e nnacchianava nautri, quasi sempre alla vigilia di S. Anna per indossare la fascia nella Processione cchiu eleganti e seria di Madonii, per consolazione una bella limonata fresca al bar di Masciu Stefani che indossava le ciabatte a prescindere dalle stagioni.

Era ilare la Castelbuonesità, solare ed amica sincera. Birbante ma onesta e sempre laboriosa. La sera a passiata a chiazza per incontrare u masci che l’indomani doveva fare una rattella o ittari na suletta.
Giorno dopo giorno, senza che c’è ne siamo nemmeno accorti, quel modo di vivere e di essere ha lasciato spazio alla pubblicità; la propaganda di un certo sistema paese, come negli anni ottanta abbiamo visto propagandare la “Milano da bere” come modello fatto di immagini belle, edulcorate e di persone e storie di successo. E dietro le porte aperte, che pure sono servite, montava l’astio nei confronti dei nemici politici e non più avversari, da schernire e umiliare così come chi studia e ruba dai libri perché pare che l’esperienza di vita vissuta, anche nell’ignoranza del non sapere, è più formativa; chissà se è lo stesso pensiero di chi, oggi, con studi e ricerche e, in tempi straordinariamente rapidi, ci ha donato i vaccini contro il covid.
Non è più ironica certa castelbuonestià; autoreferenziale, vuole a tutti i costi riscrivere la storia per emergere prepotentemente solo perché un consenso minoritario può giustificarlo e ossessionarlo. Eppure abbiamo avuto Presidenti della Regione ed Onorevoli che misuravano il consenso non dai risultati elettorali, quelli si plebiscitari, ma dal tempo che impiegavano per fare una passeggiata da chiazza a nnintra a supra u ponti. Non ama la democrazia, odia il dissenso verso di se e lo attacca, con certa cortigianeria, come se fosse solo frutto di strumentalizzazione; si è arrivati perfino ad identificare i nimici da cuntintizza.
Nel sistema paese tutto è fashion, successo e reclame e non c’è spazio per la povertà, i vizi, le miserie umane, il disagio sociale. Ma il sistema paese, slogan divino, è fragile come una campana di vetro, opaca. Prima suona bene, con un suono che ammalia, ma basta sfiorarla per rompersi. E si vede tutto quello che non avremmo voluto vedere, ne sapevamo esistesse.

Il mondo ci guarda e si inviano gli auguri ai cittadini del mondo perché presto saremo sul tetto del mondo. Charlie Chaplin, nel film “Il Grande Dittatore” del 1940 in quella magnifica scena con un mappamondo, un principiante al confronto.
Perfino le parole sono state manomesse.
Si abbatte una scuola? Una falsità!
Un centro polifunzionale? E’ un Teatro!
I verbi si coniugano al futuro: faremo, sistemeremo, avvieremo, progetteremo, con il tempo che passa inutilmente e con la colpa, dei problemi irrisolti, che è sempre degli altri. Eppure aspettiamo di leggere un libro, rimandato più volte alle stampe perché ogni volta che sembra stia per finire la stagione, non essendoci uomini per tutti le stagioni (cit.), ecco continuare stancamente la stessa medesima stagione, da 30 anni, che non è la primavera e neanche l’estate da tanto, troppo tempo.
Dividi et impera al di qua’ du ponti a sciumara, aldilà il nulla.
Ma c’è altra castelbuonesità. Un seme che germoglia lo vediamo brillare negli occhi commossi dei bambini che vedono abbattere la scuola, la loro seconda casa, nella caparbietà dei loro insegnanti, nella rabbia dei cittadini che non sono ascoltati. Noi sosteniamo la loro lotta. Siamo già maggioranza nel paese reale, lo siamo già da tempo. E siamo pronti per tendere al vento le vele del cambiamento per divenire comunità TUTTI INSIEME, nessuno sia escluso. Il Partito Democratico è pronto per questa sfida, per rilanciare quella STORIA che non ha mai tradito e raggiungere la conquista più importante: non il potere per il potere ma il potere per cambiare l’esistente.
A misurarne il successo sarà ciò che saremo in grado di lasciare alle future generazioni. Un paese migliore, certamente, di quello che stiamo per avere in eredità. Buon 2022, il futuro è già arrivato.

Il Pd di Castelbuono