È visitabile fino al 6 gennaio la personale di Giuseppe Forte, Natività migrante, presso l’Ottagono di Santa Caterina, in Piazza Duomo, a Cefalù: “riflessioni pittoriche” dell’artista cefaludese volte ad affrontare il tema della natività nell’ambito di una visione universale della maternità, visione accogliente ed inclusiva.
Forse Giuseppe Forte è più noto per scorci della nostra città, i suoi vicoli, le case, i monumenti, le ampie vedute, gli intrecci di terra, mare e cielo che diventano luoghi dello spirito fuori dal tempo e collocati in una dimensione mitica, attimi fissati per sempre nella memoria, frammenti spaziali e, insieme, esistenziali, piccole perle temporali che diventano eterne. Il cielo, soprattutto: quello delle tele di Forte attrae e cattura per i giochi di blu e per quelli, straordinari, delle nuvole, il tutto sempre sotto la cifra di una profonda spiritualità.
La figura umana è generalmente assente nel paesaggio, ma sa diventare protagonista, lasciando solo qualche dettaglio paesaggistico, con i corpi (come nella serie sulla condizione umana) o con i visi e gli sguardi, come in questa occasione. C’è, nella produzione pittorica di Forte, un livello più squisitamente esistenziale, in cui uomini e donne esprimono il loro dolore a volte dolce e confortato, spesso violento e disperato.

E parlando della carriera artistica di Giuseppe Forte, non si possono trascurare i riferimenti agli aspetti legati alle tematiche della fede e della religione, come la nota Via Crucis realizzata su fondi di botte e, solo a titolo di esempio, la mostra “Itinerario nel sacro” e l’illustrazione del libro “La Via della Croce” dello scrittore gelese Emanuele Zuppardo.Tante le tematiche di natura evangelica e religiosa, come le sue Crocifissioni o, ad esempio, la grande tela del Cristo Risorto. E poi la Natività, le Madonne con il Bambino e tante donne con un bambino o con bambini.
Il compianto prof. La Grua, negli anni in cui fu direttore del Corriere delle Madonie, ha scelto di porgere annualmente gli auguri di Natalecon un’opera di Forte sul tema della natività, una sorta di biglietto inserito nella prima pagina del periodico. Opere in grafica, delle quali vi è un “assaggio” nella mostra, volti emergenti dal bianco, come dal silenzio, per parlare all’osservatore, ora con una fittissima, sapiente trama di nero,ora con tratti più radi, oppure con leggeri tocchi di lieve colore.Nell’uno e nell’altro caso,gli sguardidella Madonna e del Bambino, come di tutti bambini e di tutte le madri presenti nelle opere in mostra,comunicano a chi le osserva emozioni profonde e una potente carica spirituale, e questo accade sia che si tratti di grafica, sia che si tratti di pittura su tela o su vetro o su legno.
Quante madri e quanti figli in questa mostra, quante donne nel volto della Madonna: madri e figli di tutto il mondo, perché se la natività è sicuramente il grande evento evangelico, essa è anche l’evento straordinario che si ripete in ogni donna che mette al mondo un figlio, in qualsiasi latitudine, condizione o etnia. Ed ecco le bellissime tele collocate frontalmente, donne diverse, situazioni diverse, stesso potente amore declinato con dolcezza o con dolore, ma sempre con la stessa tensione protettiva di una madre che vuole salvare il proprio figlio da un mondo che non sempre si manifesta accogliente e solidale.
E il tema dell’accoglienza transita inevitabilmente nel tema dei migranti, dominante nell’ultima produzione di Giuseppe Forte, sempre attento alle emergenze socio-politiche, per un’arte che non si allontani dalla realtà, ma la interpreti e ne denunci le ingiustizie e le sofferenze.

In una tela, una donna con tre bambini di diverse età è collocata su uno sfondo fatto di blocchi di varia altezza e vari colori da dove, improvvisamente e in maniera surreale, emergono due elementi di filo spinato, simbolo di un limite invalicabile, di un confine di prigionia, attuale più che mai, perché anche oggi ci sono scandalosi fili spinati che impediscono un varco di salvezza a tanti bimbi: e così, il cielo è lontano, quel cielo tanto caro a Forte nei suoi paesaggi, qui è un oltre, oltre quei blocchi, irraggiungibile.

Altre opere presentano gruppi umani in cui i singoli sono accalcati, volti alla ricerca di un futuro, ma con atteggiamento dimesso, sfiduciato, triste: l’autore li ha dipinti facendoli venir fuori dal bordo della stessa tela, proiettati verso l’osservatore, come affacciati ad una finestra di speranza: gli sguardi però seguono molteplici direzioni, segno della mancanza di una meta certa, della consapevolezza di andare incontro a mille difficoltà, alla mortificazione del rifiuto, della non accoglienza, oggi come ieri e, forse, come domani, nell’alterna vicenda umana. Uomini soli con la loro valigia che ricorda quella dei nostri padri e dei nostri nonni emigranti, una valigia da cui emergeranno, probabilmente, memorie, piccoli tesori del passato, di un tempo che non c’è più, affetti lontani che non riescono ad addolcire il dramma della condizione di chi è costretto a fuggire dal proprio mondo. Ma a differenza dei nostri emigranti, i migranti non hanno neanche una valigia.
Opere di coinvolgente attualità che invitano a non voltarsi dall’altra parte, ma a guardare quei volti, quelle madri e il loro dolore e quei bambini in cerca semplicemente di un tempo futuro.

Tema, quindi, del tempo presente, tempo come respiro affannato di un’umanità in cammino. Anche Gesù nacque in cammino e fu costretto alla fuga in Egitto per salvarsi da Erode, figura fortemente simbolica delle stragi degli innocenti di ogni tempo. Ma questa mostra, in occasione del Natale 2021, con tutte le vecchie e le nuove emergenze che stiamo vivendo (non ultima quella sanitaria, con i nuovi conflitti sociali che ha comportato), vuole essere auspicio di conciliazione e di ricomposizione, di risanamento etico e sociale, di un nuovo tempo, dove tutte le fratture, come quella che spezza la splendida natività realizzata sulle parti laterali di una madia, possano integrarsi e ricomporsi in una nuova dimensione temporale, come nelle splendide icone dal sapore bizantino, in nome di una nuova natività dell’uomo, di un uomo accogliente e solidale. Auspicio, dunque, di un tempo in cui nascita non sia presagio di una croce, ma simbolo di una nuova migrazione verso un mondo di pace e di salvezza, per tutti.

Rosalba Gallà