Al coro di unanime benvenuto indirizzato a Don Nicola Crapa, chiamato dall’Autorità della Chiesa locale ad occupare lo scranno parrocchiale di Gratteri, non mi pare opportuno far mancare la mia voce, sia come vecchio gratterese, sia come ex insegnante del benemerito Liceo Mandralisca. Del quale liceo Don Nicola ebbe la sorte di essere, con altri suoi compagni di seminario, alunno attento, silenzioso e diligente.

E questo, non certo perché voglia attribuirmi meriti, che non potrei avere e certamente non ho. Né per esprimere un giudizio sulla scelta del nostro Pastore, riguardo alla quale, secondo il mio punto di vista, nessuno ha titolo di incidere minimamente, essendo essa (e di ciò deve essere consapevole chi crede) ispirata dallo Spirito Santo. Ma solo per dare merito alla scuola che mi ha avuto prima come alunno e quindi – contro ogni mio merito – come docente: a quel Liceo Mandralisca, che oltre agli altri meriti acquisiti nel corso della sua più che secolare vita didattica, ha avuto anche quello di essere stato il supporto più valido della formazione del clero locale in assenza di un seminario all’uopo deputato.

E di ciò non ha avuto minor merito Il Preside Giovanni Sottile, il quale, pur nel più assoluto rispetto della laicità della scuola da lui diretta, come intellettuale cattolico di alto livello quale egli certamente era, sentiva la responsabilità della formazione di un clero cattolico all’altezza dei tempi in cui questo veniva chiamato ad operare. E guardava a questa frazione del corpo discente con zelo di maestro non distaccato dalla sua fede religiosa.

Di lui mi piace ricordare qui – proprio perché viene a proposito stante la nuova responsabilità di Don Nicola – l’accenno alla tradizione religiosa di Gratteri in riferimento alla vicenda di Padre Sebastiano, il cui eroismo sarebbe stato il frutto dello spessore di una Fede collettiva che in lui “poté esprimersi in un modo così eroico perché l’ambiente ne era compenetrato: le opere e i giorni, i momenti della vita, tutto era ritmato dai richiami religiosi; allora i nostri paesi avevano un’anima cristiana, in un certo senso c’era una fede corale”.

Nel racconto fattogli dal narratore che affidava alla sua autorevole competenza il proprio scritto sulla storia di Gratteri, egli leggeva “la testimonianza di una cristianità viva e aperta al domani pur con le ombre e le pene dell’oggi”. “Potremmo avere rimpianto – diceva – per quel tempo che fu ma da credenti – e la Fede è novità – dobbiamo avere fiducia e impegno di rinnovare nel nostro tempo la Civitas christiana, sicuri che Gesù Cristo , nostro Signore , ha vinto il mondo”.

Che altro possiamo aggiungere a un viatico così perfetto nella forma e compendioso nella sostanza se non girarlo al destinatario, con l’augurio più fervido di buon ministero sacramentale nel paesello più vicino fisicamente e moralmente al suo luogo natio?  Con l’auspicio, anche, di potere essere bene a ragione grati a Dio per il dono del carisma sacerdotale del nuovo parroco, nonché orgogliosi dinanzi al mondo dell’apparato formativo che l’ha fatto crescere in grazia, cultura  e santità.

GIUSEPPE TERREGINO