Giancarlo De Sisti ancora si emoziona quando ricorda quella finale ‘ripetuta’ contro la Jugoslavia, due giorni dopo un 1-1 senza vincitori, e che diede all’Italia il suo primo, e finora unico, Europeo. “Ho ricordi bellissimi di quell’Europeo, legati una vittoria inaspettata quanto agognata”, ricorda ‘Picchio’ De Sisti. Era l’Europeo nell’anno delle contestazioni, fu ricordato per la monetina che dopo lo 0-0 con l’Urss diede all’Italia l’accesso alla finale, la doppia sfida alla Jugoslavia, la vittoria, quelle fiaccole accese sugli spalti del vecchio Olimpico che da allora in poi divennero moda. “Quel successo – dice l’ex azzurro – arrivò 30 anni dopo l’ultimo trionfo del calcio italiano, quello dei Mondiali del ’38, e due anni dopo il fallimento dei Mondiali in Inghilterra. Non dimenticherò mai quella fiaccolata sugli spalti, dove c’erano tanti miei amici e familiari ai quali avevo trovato il biglietto.

C’era in pratica tutto il quartiere Quadraro, essendo romano avevo fatto man bassa anche dei tagliandi destinati ai compagni”. Era il 1968, un anno di contestazioni e voglia di cambiamenti, “un clima che sentivamo anche noi – dice De Sisti – anche se, nei club e in Nazionale, i dirigenti cercavano di creare intorno a noi un’atmosfera ovattata. Chissà, forse anche quella voglia di cambiare il mondo fece scattare in noi la spinta a riportare in cima il calcio azzurro, anche se all’inizio non pensavamo di arrivare fino al successo”. Il merito, oltre che dei calciatori, fu del ct Ferruccio Valcareggi. “Dopo la prima finale – spiega De Sisti -, in cui la Jugoslavia, che era davvero il ‘Brasile d’Europa’ giocò molto meglio di noi e ci salvò solo San Domenghini, il ct decise di cambiare e operò cinque cambiamenti rispetto alla formazione della prima finale. Uno dei cinque che subentrarono fui proprio io, e fu la mia terza presenza in Nazionale. Ero uno del gruppo, sentivo che la mia forma stava crescendo e Valcareggi mi disse che avrei giocato: fu bellissimo, realizzai il mio sogno di bambino di giocare una finale con l’Italia”.

Con De Sisti entrarono in squadra Riva, Salvadore, Rosato, e Mazzola, al posto di Prati, Castano, Ferrini, Juliano e Lodetti. “L’intuizione vincente di Valcareggi, che era un tecnico preparato – dice ancora ‘Picchio’ -, fu di mettere Rosato mediano, a fare da schermo davanti alla difesa. Praticamente, lasciavamo giocare gli jugoslavi, che erano meno freschi di noi, fino a un certo punto, poi Rosato spezzava il loro gioco e e li fermavamo prima che arrivassero sulla linea di difesa. Le loro manovre s’infragevano al limite dell’area, noi controllavamo e poi ripartivamo, giocando di rimessa, un po’ come aveva fatto, negli anni precedenti, l’Inter di Herrera. E così vincemmo”. “Grazie anche – aggiunge – allo spirito di sacrificio di Sandro Mazzola, che per me era uno dei cinque attaccanti più forti in circolazione ma venne spostato a mezzala e anche in quel ruolo si fece valere, come successe anche due anni dopo ai Mondiali in Messico”. Tanti ricordi e un auspicio per l’Europeo che, 53 anni dopo, torna a Roma. “Anche la nostra Italia, come questa di oggi – dice De Sisti – veniva da un fallimento, ovvero la Corea, mentre quella di oggi arriva dopo la mancata qualificazione ai Mondiali in Russia. Vorrei che la storia si ripetesse, che arrivasse un trionfo dopo una grande delusione, che dalle ceneri nascesse qualcosa di grande, anche se un Europeo non te lo porti da casa. Insomma, è difficile per tutti, ma l’Italia di Mancini fa ben sperare, e il clima di entusiasmo che potrebbe crearsi intorno alla squadra la potrà trascinare. La filosofia di gioco del ct è quella giusta, non rimane che sperare e vedere che succede. Io sarò il primo tifoso”. Nel ricordo di quel ‘rivoluzionario’ 1968.