Il 1° maggio è la Festa del Lavoro, un giorno in cui si ricorda la lotta di una “classe sociale”, i lavoratori, che dal 1860 non ha mai smesso di lottare per dare dignità al lavoro attraverso la conquista di diritti, purtroppo spesso negati dalla “classe dominante”.
Lo sciopero, strumento di lotta sindacale da sempre in auge per ottenere dalla controparte un miglioramento delle proprie condizioni, è stato oggetto di diverse interpretazioni; da reato a libertà, fino a diventare un diritto costituzionale. Esso costituisce la forma più incisiva di autotutela degli interessi collettivi dei lavoratori, è l’aspetto prevalente del conflitto organizzato. Le maggiori conquiste riguardano: l’ottenimento delle 8 ore lavorative rispetto alle 16 imposte dalla classe padronale, la conquista del salario minimo e il diritto di sciopero con annesse rappresentanze sindacali nei luoghi di lavoro. Il diritto di sciopero può qualificarsi come diritto assoluto della persona e libertà fondamentale, costituisce uno degli strumenti giuridici che concorrono all’eliminazione degli ostacoli che di fatto impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori dell’organizzazione politica, economica e sociale del paese (art.3, comma 2, Cost.). In questo senso, mi sembra opportuno riportare una celebre frase di G. di Vittorio, “È attraverso lo sciopero che i lavoratori, poveri e deboli, isolatamente affermano la propria potenza dell’indispensabilità della loro funzione sociale”.
Sebbene possa sembrare anacronistico, è bene ricordare che è attraverso la lotta, durata circa 100 anni, che la classe operaia ha conquistato diritti. Tuttavia, la globalizzazione, la precarizzazione e, più recentemente la c.d. “gig economy” hanno progressivamente sgretolato quel cumulo di tutele a presidio della dignità del lavoro. Per fare qualche esempio:

  • Nel settore ristorativo, quanti ragazzi subiscono il capolarato? 13 ore al giorno con un paga media di 3 euro l’ora, rigorosamente senza alcun contratto collettivo, o ben che vada con un contratto part-time che prevede un servizio 2/3 ore giornaliere.
  • I braccianti agricoli, come si evince dall’osservatorio Placido Rizzotto della CGIL, si confrontano ogni giorno con l’arcaica pratica dello sfruttamento, unico modo per entrare nel mercato del lavoro (sia pure nero), con scarsi servizi igienici, mancanza di acqua corrente e nessuna tutela per malattie legate allo svolgimento dell’attività.

I riders, lavoro in via crescita a causa della pandemia COVID-19 e dell’impatto che essa ha avuto nel sistema economico e imprenditoriale. Essi sono lavoratori sostanzialmente inseriti nell’organizzazione del committente, senza che quest’ultimi assumano rischi tipici del lavoro autonomo.

  • I lavoratori dell’edilizia, categoria sottoposta a continui ricatti, desumibile dal quasi il 30% dei contratti a termine. Altro dato allarmante è quello relativo al lavoro nero, che al Sud è stimato al 40 %.
    Infine, merita attenzione un nuovo modo di svolgere l’attività lavorativa che l’emergenza sanitaria ha indirettamente imposto: il lavoro agile. Per questa modalità di lavoro non esiste ancora una disciplina sufficientemente rigorosa. Se le imprese manterranno queste novità “eccezionali” sarà importante prevedere tutele per i lavoratori che ne sono coinvolti, in particolare per quei lavori che non possono essere svolti a distanza, per via delle caratteristiche intrinseche della mansione lavorativa. In assenza di tutele, ciò potrà causare una forte spinta verso la precarizzazione e/o l’esternalizzazione di tali ruoli.
    Lo sfruttamento dei lavoratori, il precariato, la riduzione del lavoro a prestazione occasionale e/o ad attività freelance limita il potenziale del lavoro come mezzo per l’emancipazione dell’individuo e per il progresso sociale del Paese. Col tempo, cambiano la dimensioni, cambiano i soggetti, le persone, ma le ragioni per la lotta sono le stesse: dignità, uguaglianza e diritti per i lavoratori. La dimensione sindacale non va mai dimenticata, bensì abbracciata e condivisa. È attraverso la lotta e la cultura che si può pianificare una strategia per l’emancipazione dei lavoratori di questo paese, dell’Europa, del mondo.
    Proprio in questi giorni la CGIL é intervenuta sulla gestione delle risorse del Recovery Plan, il segretario M. Landini sottolinea che serve un piano straordinario per l’occupazione che metta al centro i giovani, le donne e il Mezzogiorno. E. Letta, segretario del PD, si è espresso in quest’ottica, proponendo ed ottenendo nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), approvato in queste ore dal Parlamento, una chiara clausola di condizionalità trasversale sull’occupazione delle categorie più deboli e al Sud, pesantemente messe allo stremo dalla crisi economica attuale.
    Bisogna garantire il blocco dei licenziamenti, legiferare sulle nuove tutele in materia di lavoro digitale e un piano che consenta una formazione continua dei lavoratori.

    Le forze social-democratiche sono chiamate al loro ruolo di promotori di un equilibrato modello di società, dove il lavoro è il mezzo per il progresso sociale e civile del Paese. In questo campo, il Partito Democratico deve adempiere al suo dovere riformatore . È compito della politica andare ad intercettare le fragilità, le difficoltà dei “nuovi” lavoratori, trovare una sintesi tra tutela dei diritti ed esigenza della classe imprenditoriale, perché solo dalla ricerca di un equilibrio dinamico tra questi interessi, l’attività economica delle imprese può agire come fattore per lo sviluppo socio-economico del meridione e della comunità nazionale.
    Viva il lavoro, viva il Primo maggio.

  • Per il Partito Democratico di Castelbuono
    Giovanni Martorana
    Il Segretario
    Vincenzo Capuana