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Anche a Petralia Sottana si festeggia(va) il Patriarca San Giuseppe.

E venne il giorno de i “Virgineddi”, pranzi offerti per devozione.

Il Comune di Petralia Sottana ha inserito il menù di questo rito tra i prodotti De.Co

Come è noto in Sicilia le feste sono legate in modo indissolubile ai calendari agricoli e alle reminiscenze pagane propiziatorie.  Tra le celebrazioni legati alla rinascita della natura e la riattivazione dei cicli agro-pastorali i riti legati a San Giuseppe sono tra i più sentiti.

Anche quest’anno a Petralia Sottana si celebrerà come per tradizione la festività di San Giuseppe con la processione per le vie del paese e i “Virgineddi”, i pranzi offerti per devozione o in cambio di una grazia che una volta erano preparati da numerose famiglie del paese e destinati alle fasce più deboli della popolazione.

L’Amministrazione Comunale di Petralia Sottana, per perpetuare la tradizione e annoverarla tra i valori identitari della comunità petralese, ha recentemente inserito il menù di questo pranzo devozionale nel registro dei prodotti De.C.O. ed ha sostenuto l’iniziativa che verrà organizzata dalla locale Società Operaia di Mutuo Soccorso (Soms).

Il pranzo ha un menù molto particolare legato alla territorialità, alla storia, alla penitenza devozionale e all’aggregazione sociale.

Una festività molto sentita anche perché il Santo Patriarca, venerato in tutte le comunità legate al ciclo produttivo della terra, era patrono di Petralia Sottana.

Giorni prima iniziano i faticosi  preparativi per la cottura delle pietanze tra cui la raccolta e la pulitura delle verdure; già questi semplici gesti sono intrisi di devozione, tenacia e senso del sacrifico, basti pensare la fatica che comportano queste azioni e la sofferenza fisica che si prova affrontando  le acuminata spine dei cardi

Il pranzo devozionale tradizionale prevede mezz’arancio, merce molto pregiata un tempo; minestra di “tagghiarini” con le lenticchie e le verdure selvatiche; il baccalà fritto, retaggio delle dominazioni normanne e scelta vincolata del periodo quaresimale; cardi e finocchi selvatici; le “sfingi” e u “panuzzu di San Giuseppi”.

Durante il pasto, che viene consumato a turni e a “porte aperte”, vengono scandite preghiere e giaculatorie legate al culto del Santo che è “presente” grazie all’allestimento di un altare con la sua immagine decorato con drappi,  aranci e pani votivi foggiato con figure che ricordano la vita del santo: “u vastuni, a varva e a scalidda”.

Un’occasione da non perdere per sottolineare l’identità territoriale e la cultura della memoria propria di un territorio attraverso le  tradizioni religiose e le celebrazioni del ciclo della rinascita attraverso la cultura gastronomica locale.

Vincenzo Piccione d’Avola

Redazione

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