L’occasione dei 50 anni dell’istituzione delle Regioni ordinarie consente anche ad una Regione speciale, insulare e meridionale, di offrire il proprio contributo al rilancio della Repubblica delle autonomie per un Paese più coeso e competitivo. Ci sono nodi antichi e recenti che vanno sciolti e questa ricorrenza deve costituire una grande occasione per ridisegnare un assetto ripartendo dal principio autonomistico che costituisce una delle grandi novità, ancora non interamente inverata, della Costituzione repubblicana.

 La crisi economica post-pandemica ha colpito la Sicilia quando ancora non erano stati superati gli effetti della precedente crisi economica, rendendo ancor più pesante il mancato recupero di produttività[1].C’è un’emergenza lavoro alla quale occorre far fronte, i dati evidenziano infatti che da febbraio 2020 nel Paese livello di occupazione è diminuito di oltre mezzo milione di unità e le persone in cerca di lavoro di quasi 400 mila unità, a fronte di un aumento degli inattivi di quasi 900.000 unità. L’effetto sui tassi di occupazione e disoccupazione è la diminuzione di oltre un punto percentuale in tre mesi. Con effetti ancor più gravi in Sicilia che evidenzia un grave decremento già rispetto allo scorso anno[2]. La pandemia da Covid19 e le conseguenze economiche congiunturali hanno determinato un aggravamento della già persistente precarietà sociale con effetti inibitori sul desiderio di avvenire. E tale perniciosa dinamica indotta dispiega le proprie spinte pregiudizievoli su famiglie ed imprese. Una crisi che se potrà avere effetti sostanzialmente analoghi sul piano quantitativo a quella sofferta al livello nazionale, incide su un tessuto economico ed imprenditoriale di gran lunga più debole e stressato sul piano finanziario, ma sopratutto con previsione di percussione più duratura, in considerazione dei ridotti e differiti margini di reazione alla crisi delle aree più fragili.

Per invertire la tendenza sono necessari sostegni finanziari efficienti e tempestivi, proprio per far fronte agli effetti più devastanti e paralizzanti della chiusura delle attività e della vita sociale, ma sopratutto investimenti che rimettano in moto l’economia regionale che corre il rischio di avvilupparsi in una sindrome depressiva.

Al riguardo non può sottacersi che l’UE sia intervenuta con tempestività nell’approntare le misure economiche per contrastare gli effetti economici della pandemia da Covid-19 ed introdurre meccanismi per la crescita[3]. Misure economicamente imponenti per far fronte ad una crisi economica postpandemica che si appresta a essere la più grave dalla fine della Seconda conflitto mondiale e dagli esiti ancora assai incerti è per la forte concatenazione che si registra tra le misure di c.d. lockdown e le iniziative economiche necessarie per contrastare la pandemia (e limitarne l’impatto in termini di Pil e di perdita di posti di lavoro) e ciò si correla agli investimenti previsti nel green new deal e nell’economia circolare.

Ci sono due questioni cruciali nel rapporto con lo Stato che risultano irrisolte da decenni: quella dell’autonomia finanziaria e quella degli investimenti infrastrutturali e sul capitale umano. Su entrambi il Governo regionale ha imposto un’accelerazione ed una svolta.

Sul piano dell’autonomia finanziaria il Governo regionale ha fatto tutto ciò che doveva: è stato predisposto lo schema di norme di attuazione in materiacui rinvia l’articolo 27 della legge n. 42 del 2009 (che debbono sostituire quelle del 1965), incentrate su: corrispondenza tra spettanza del prelievo e funzioni, condizione di insularità, fiscalità di sviluppo. Norme di attuazione presentate nell’agosto del 2018 al Governo statale si era impegnato a vararle entro settembre 2019 e che, come confermato dal MEF nel confronto a lungo richiesto ed appena riaperto, dovrebbero vedere la luce entro l’autunno[4]

Sul piano degli investimenti infrastrutturali vanno riconosciuti i connotati del divario e ciò sulla base dei Conti pubblici territoriali, elaborati dall’Agenzia per la coesione territoriale dello Stato. Un divario inaccettabile e che la crisi economica post-pandemica, in assenza di correttivi adeguati, accentuerà pesantemente[5]. Risulta quindi imprescindibile uno sforzo straordinario in termini di investimenti straordinari localizzati nel Sud ed in Sicilia, a partire da opere di rilevanza strategica come il Ponte sullo Stretto, per far fronte ad una crisi che sta dilaniando il Paese, manifestando dinamiche devastanti sul piano della coesione economico-sociale. Occorre precisarlo senza infingimenti: in carenza di una consistente ripresa del Sud e della Sicilia, l’Italia è destinata ad un rilancio precario ed instabile. Ma questa convinzione ancorché da più parti enunciata non emerge dai provvedimenti, pur copiosi di norme e di risorse, sin qui adottati[6].

La clausola che riconosce il 34 % degli investimenti al Sud sino ad oggi rappresenta un mero auspicio. Peraltro occorre precisare che, anche laddove fosse pienamente rispettata, alle condizioni date non consentirebbe che in tempi molto lunghi (per effetto delle misure, purtroppo solo in parte addizionali, esplicate dall’intervento straordinario e da quello dei fondi strutturali) il recupero del divario economico-sociale nel frattempo maturato. Si tratta di un obiettivo comunque significativo rispetto alle soglie conseguite in questi anni, che, tuttavia, non determina in termini sufficienti i presupposti della perequazione infrastrutturale, ma difende solo il diritto alla sopravvivenza del Sud. E tale percentuale dovrà esser rafforzata nell’allocazione delle risorse del c.d. Recovery plan che diviene l’ultima occasione per superare un divario che, come opportunamente sottolineato, costituisce il più grande fallimento dello Stato italiano[7].

Vi è poi la condizione di insularità (artt. 174 TFUE e ss. e 119 Cost.), che deve essere affrontata mediante puntuali misure di riequilibrio (continuità territoriale, fiscalità di sviluppo, incentivi e misure di sostegno allo sviluppo, perequazione infrastrutturale, regimi di aiuto etc.). Non si tratta soltanto di inverare principi ormai conclamati dal diritto europeo ed interno, ma di far fronte all’eguaglianza sostanziale dei cittadini ed alla parità di trattamento nel godimento effettivo dei diritti sociali alle situazioni di divario ed ai “costi dell’insularità” mediante misure concrete sul piano legislativo. L’Italia, dopo la Brexit, è divenuto il primo Paese europeo per il numero di cittadini insulari (oltre 6,7 milioni, quasi il 12% della popolazione complessiva tra Sardegna e Sicilia che è ormai la più grande isola europea) sui 17 milioni di insulari europei deve porre la questione della condizione di insularità tra le priorità delle politiche pubbliche.

Ci sono tutte le premesse perché la Sicilia possa tornare a crescere utilizzando gli ingenti investimenti europei, quelli statali (se rispettosi della clausola del 34% e quando effettivamente disponibili), ritornando ad investire in infrastrutture materiali, strade ed autostrade, ma anche digitale, ed immateriali (conoscenza), ma sopratutto attraverso la fiscalità di sviluppo che può consentire, in linea con la condizione di insularità e le prerogative statutarie, di attrarre investimenti, operatori economici, “nuovi siciliani”. La Regione ha dimostrato di credere in questa prospettiva di ricostruzione a partire dalle ingenti risorse convogliate dalla legge di stabilità per il 2020, che in quanto extraregionali necessitano del tempestivo riscontro statale, e dal pieno impiego delle risorse europee. Ed in tal senso il caso dell’infrastrutturazione digitale che ha fatto della Sicilia, in appena due anni una delle aree più avanzate in Europa, è esempio virtuoso[8].

Ma quel che è certo che il divario non può essere misconosciuto dalle misure statali di sostegno all’economia sopratutto ove, come nel Mezzogiorno, vi è l’incidenza determinata dal rilievo dell’economia non osservata e di quella priva di merito bancario, o, sul piano territoriale, emergono crescenti difficoltà di aree interne e montane o delle isole minori, in Sicilia ancor più provate dal morso della crisi. Dietro queste sintesi lessicali ci sono cittadini ed imprese di Sicilia che hanno diritto ad essere aiutati a superare difficoltà, ad intraprendere un percorso di crescita nella legalità e nell’equilibrio finanziario scongiurando che la crisi economica risulti esiziale[9].

Cruciali sono poi la modernizzazione e la digitalizzazione dell’amministrazione pubblica, la vera svolta della riforma amministrativa. La Sicilia, da un lato, si è dotata della più moderna legislazione in materia (l.r. n. 7 del 2019), della quale tuttavia occorre garantire la piena applicazione a partire dalle sanzioni per inefficienze e ritardi, dall’altro sta decisamente puntando verso la digitalizzazione, spinta anche dalla necessità di garantire lavoro agile e procedure informatizzate. Ma lo sforzo di modernizzazione dell’organizzazione amministrativa e della sua capacità di decidere in modo efficiente va accelerato[10].

Si apre una fase nuova per l’economia della Sicilia, oggi appesantita dalla grave crisi post-pandemica e dalle misure di contrasto. Una crisi che, per la morfologia del tessuto economico ed imprenditoriale avrebbe avuto necessità di misure statali calibrate e specifiche, sebbene riequilibrate, per quanto possibile, dagli interventi regionali per famiglie, imprese ed enti locali finanziati con risorse extraregionali. Una crisi il cui esito può essere una nuova opportunità di lavoro, di impresa, di innovazione per gli italiani di Sicilia, in una Patria coesa.

Senza il coinvolgimento delle Regioni non solo non vi potrà essere l’auspicato rilancio economico-sociale del Paese, ma addirittura si genereranno effetti perversi di aggravamento del divario Nord-Sud che minano la competitività del sistema-Italia, mentre occorre disegnare un nuovo modello di sviluppo che rafforzi la struttura istituzionale policentrica e sistemica che guardi all’Europa delle Regioni. E’ nella Repubblica delle autonomie che l’Italia può trovare le corrette modalità per affrontare la crisi e superarla, costruendo un futuro sostenibile, rafforzando i meccanismi di leale collaborazione tra Stato e Regioni e di cooperazione tra queste, favorendo il pluralismo istituzionale, rifuggendo da ogni forma di centralismo


[1]In termini di effetti economici della crisi per il 2020 a fronte di un -8% di PIL a livello statale in Sicilia la perdita risulta di poco inferiore (-7,8%), anche se tale dato non deve risultare confortante sia per la maggior tenuità del rimbalzo previsto per il prossimo anno +3,4% contro il più consistente +4,7% dell’economia nazionale, ma sopratutto poiché i aggiunge alle  perdite dal 2008 (quasi un -15%).

[2] La rilevazione registra in Sicilia 1.320.000 occupati, in flessione congiunturale del 4,8% rispetto al trimestre precedente a fronte di una contrazione dell’1,3% a livello nazionale.

[3] La Commissione stima che, durante il lockdown l’economia dell’area euro abbia funzionato a un livello inferiore del 25-30% rispetto alla sua normale capacità, condizione che dovrebbe tradursi in una riduzione del PIL dell’8,7% nel 2020 e in una successiva ripresa del 6,1% nel 2021. In merito giova sinteticamente ricordare gli oltre 1.000 miliardi € di acquisti della BCE (Q.E.), la sospensione del patto di stabilità e crescita, le misure di riconversione della politica di coesione (“Coordinated economic response to the COVID-19 Outbreak”), il pacchetto di 500 miliardi € per i fondi MES, SURE e BEI ed infine l’accordo da 1.800 miliardi. € sul bilancio UE 2021-2027 e sul Recovery Fund (c.d. Next generation EU).

[4] Si aggiunge, a seguito degli effetti della pesante crisi economica post-pandemica, il tema del ristoro per le previste minori entrate che lo Stato deve coprire integralmente, non potendo la Regione operare in deficit né accendere mutui per coprire spesa corrente e della modifica delle norme di attuazione sul ripianamento del disavanzo sulle quali deve definitivamente pronunciarsi la Commissione paritetica.

Di assoluto rilievo risulta la constatazione della Corte dei conti-Sezione di controllo per la Sicilia la quale ha evidenziato che il sistema di attribuzione dell’IRPEF maturata in ragione di 7,10 decimi a far data dal 2019 non riesce ad assicurare alla Regione un gettito di entrate correnti in grado da garantire un livello di servizi (e di spesa pro-capite) pari a quello delle altre regioni ad autonomia differenziata, ancorché a partire dal 2019 il concorso alla finanza pubblica sia stato ridotto di 300.000.000 € annui e che appare improcrastinabile, come più volte richiesto dalla Regione – per il pieno rispetto dell’autonomia di quest’ultima – che essa possa ottenere l’accesso alle principali banche dati dello Stato in materia finanziaria e tributaria, tanto al fine di poter disporre di strumenti più efficaci e aggiornati per monitorare l’andamento del gettito dei tributi e formulare previsioni più attendibili, quanto per poter esercitare un controllo effettivo sulla quantificazione del gettito erariale che si stima spettante, senza dover dipendere dalle  comunicazioni del MEF (che intervengono ad esercizio inoltrato) – nell’ottica di una reale leale collaborazione istituzionale (audizione all’ARS sulla Nota di aggiornamento al DEFR 2020 del 18 febbraio 2020).  E’ di tutta evidenza che con le attuali risorse disponibili, sino all’emanazione delle norme di attuazione in materia finanziaria, la Regione non possa garantire appieno i livelli essenziali delle prestazioni per i servizi concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale (Corte Cost. sent. n. 65/2016). E la stessa Corte costituzionale (sent. n. 62/2020) ha anche rilevato la responsabilità dell’Amministrazione statale in ordine alla “lunghissima stasi” delle trattative con la Regione e la mancata attuazione dell’art.1, c. 830, 831 e 932, l. n. 296 del 2006.

[5] Come dimostra sino ad oggi, ineludibilmente, l’impiego delle misure: sia della garanzia al credito sino a 30.000€ mediante il Fond centrale che del contributo a fondo perduto erogato da ADER.

[6] La SVIMEZ ha più volte evidenziato che nel contesto di un preoccupante ampliamento della forbice dei divari Nord-Sud si rileva il vero e proprio crollo degli investimenti pubblici”. Ciò in quanto nella durevole, negativa dinamica della spesa in conto capitale degli ultimi dati si è toccato il punto più basso della serie storica per l’Italia e per il Mezzogiorno. Nel 2019 tale spesa registra un ulteriore declino, malgrado sia stato pubblicato il decreto che finalmente attua la clausola del 34% degli investimenti al sud (almeno proporzionali alla popolazione residente; DPCM 10 maggio 2019), nonché l’attuazione dell’art. 7 bis d.l. 29 dicembre  2016, n. 243. La spesa in conto capitale verso il Sud è passata dal 3,5% del PIL del 2007 al 2% del 2017 e se avesse rispettato la clausola del 34% sarebbero stati creati in 5 anni 300.000 posti di lavoro. Con ciò rendendo meno devastante la crisi che occorre adesso affrontare.

[7] Il livello di reddito siciliano risulta decisamente inferiore alla media dell’Italia, a ciò si aggiunge che la disuguaglianza dei redditi da lavoro, appesantita dalle precedenti crisi, è aggravata dalla crescente incidenza di nuclei familiari privi di reddito da lavoro, con l’effetto di appesantire disagio sociale e marginalità, situazione che perdura da oltre 30 anni. Mentre la quota di famiglie in povertà assoluta, di gran lunga superiore rispetto alla media italiana, rischia di aumentare ulteriormente a seguito della crisi post-pandemica. Prima che la crisi iniziasse a dispiegare i propri effetti più depressivi, segnalava che in un difficile decennio, tra il 2008 e il 2018, le famiglie in condizioni di povertà sono più che raddoppiate, crescendo da una quota del 4,6% al 10,3%. E’ di tutta evidenzia che questi dati sono destinati a crescere in termini ancor più drammatici.

L’andamento delle spese pro-capite del Settore pubblico allargato (SPA) in Sicilia, Mezzogiorno, Centro-Nord e Italia, relativamente alle spese correnti, a quelle per investimenti ed a quelle per la sanità, in serie storica completa dal 2000 al 2018 e in termini reali che dimostrano:

  • il volume di risorse pubbliche erogato in Sicilia significativamente inferiore rispetto a quello medio nazionale per tutto il periodo considerato, in termini di spesa corrente, con uno scarto equivalente al rapporto 82,7/100 (74,7/100 sul Centro-Nord);
  • la spesa per investimenti risulta fortemente declinante dopo il 2008, a causa della contrazione imposta dal Patto di stabilità, che colloca la Sicilia al livello più basso fra le Regioni, rappresentando mediamente il 74,7% del corrispondente valore dell’Italia e il 68,5% di quello del Centro-Nord;
  • la spesa sanitaria è particolarmente oscillante in Sicilia, ma in media più bassa per i 18 anni considerati: l’88,5% del corrispondente valore dell’Italia e l’83,3% di quello del Centro-Nord, anche se nonostante ciò il sistema sanitario regionale ha fronteggiato al meglio la pandemia

[8] Senza questa infrastruttura la lunga fase di lockdown avrebbe avuto effetti preclusivi su lavoro agile, formazione a distanza, comunicazioni anche se resta il dato, paradossale alla luce dell’investimento descritto, per il quale la Sicilia è anche la Regione con la più bassa incidenza di persone (16-74 anni) che hanno competenze digitali avanzate (14,4%; 22,0% il dato per l’Italia). In base ai dati Istat, nel 2018-19, la quota di famiglie siciliane che non possiede un computer o un tablet è la più alta tra le regioni italiane (44,4%) dopo la Calabria con pregiudizio per lavoro agile e formazione a distanza. E di questa disfunzione si sono potuti sperimentare gli effetti già durante l’emergenza sanitaria. In tal senso appare urgente: varare la misura dei voucher per l’accesso alla rete, per la quale si attende ancora la determinazione ministeriale, ma anche un piano di incentivazione di acquisto di computer e tablet (riduzione Iva per 1/2 anni).

[9] Dall’ultimo rapporto sul credito presentato dall’Assessorato all’economia emerge non solo che già a fine 2019, nonostante il rapporto tra sofferenze ed impieghi si sia ridotto da 16,2% al 12,5%, rispetto al 2018, gli impieghi in favore delle imprese siciliane si sono ridotti di circa il 10%. Questa contrazione appare ancor più aggravata pur di fronte alle misure di agevolazione del credito (garanzia pubblica) varati dal legislatore statale che, sopratutto per i finanziamenti di minore entità (sino a 30.000 €, dati al 6 luglio 2020) vede la Sicilia al 6% delle operazioni di finanziamento e ad al 6,5 per l’importo complessivo sino qui erogato. Appare evidente il pregiudizio per l’economia siciliana. La Regione, anche con le iniziative previste dalla legge di stabilità 2020, sta facendo la sua parte con l’adozione di misure volte a sostenere famiglie indigenti ed imprese sul piano finanziario e che necessitano di fondo perduto o prive di merito bancario ed in quanto tali sino ad oggi escluse dalle previsioni statali. Come pure occorre porre massima attenzione ai giovani, i più gravati dalla crisi economica post-pandemica, una crisi che oltre ad aumentare il divario ha un effetto generazionale che colpisce i più giovani: più di un giovane su sei ha perduto il posto di lavoro, e chi è rimasto al lavoro, spesso precario, ha subito una riduzione di un quarto delle ore di lavoro. Mentre per i Neet (Not in education, employment or training), giunti al 23% in Italia, ma Sicilia al 38,6% della popolazione (peggio di Calabria, 36,2% e la Campania, 35,9%), si allontanano prospettive concrete di lavoro. Da quì l’adozione di iniziative volte a rafforzare le opportunità d’impresa per i giovani quali le misure di defiscalizzazione (fiscalità di sviluppo) correlate alle iniziative “Resto al Sud”.