«Conclusa nel 2013 la fase diocesana del processo per la beatificazione del professor Enrico Medi, la Congregazione delle Cause dei Santi ha dichiarato la validità delle conclusioni del Tribunale costituito nel 1995 presso la diocesi di Senigallia e avviato la causa per il riconoscimento delle virtù eroiche del grande fisico e politico cattolico scomparso nel 1974».
Non credo siano in tanti a conoscere questo dato storico, tratto da una nota diffusa in internet col titolo “Enrico Medi verso gli altari”. Una nota che però è interessante, specialmente nel nostro Circondario, dato che quivi l’on. Prof. Enrico Medi non è stato un illustre sconosciuto. Proveniente dalla gloriosa scuola di Fisica romana, dove si era laureato col premio Nobel Enrico Fermi, giunto da noi come professore ordinario di Fisica sperimentale all’Università di Palermo, per aver vinto il concorso alla cattedra nel 1942 (aveva appena 31 anni),iniziò qui la sua carriera politica a livello nazionale e internazionale come deputato alla Costituente nel 1946 e nella prima legislatura repubblicana 1948-1953.Per quel che riguarda il nostro territorio in particolare, Il professore Medi è stato e resta vicino ad esso per essere stato il fondatore dell’Istituto di Geofisica di monte Sant’Angelo. Quando egli, nella sua veste di direttore dell’Istituto Nazionale di Geofisica, e la sua équipe organizzarono la rete degli osservatori geofisici in Italia.
In un ordine di idee di notevole importanza ai fini della salvaguardia del territorio dalle devastazioni purtroppo non infrequenti. «L’ING, a suo parere, doveva divenire sempre più un centro di ricerca scientifica nel campo della fisica terrestre, promuovendo anche servizi dei quali la vita della nazione aveva necessità, come una mappa costantemente aggiornata delle zone sismiche, la ricerca nel campo della meteorologia in favore dell’agricoltura e per lo sfruttamento dell’energia solare» (V. De Marco, Dizionario Biografico degli italiani, vol. 73).
Il tratto più caratteristico di questo scienziato fu quello dell’armonia nella sua persona tra fede e ragione, nella convinzione che «che Dio è autore della natura e della rivelazione. Sono due strade diverse che portano alla Sua parola nella quale non può esistere contraddizione. La fede è più diretta tocca argomenti di valore infinito, Dio direttamente; la scienza indaga la natura con i mezzi che le sono propri. E man mano che la scienza procede, la fede ne riceve conforto».
Questo il suo pensiero. Che non si differenzia da quello di Galileo – espresso nella famosa lettera a don Benedetto Castelli – secondo il quale, sia la Sacra Scrittura che la natura procedono entrambe da Dio: «quella come dettatura dello Spirito Santo e questa come osservantissima esecutrice degli ordini di Dio». Onde non può esservi contraddizione tra le conclusioni della scienza, quando lo scienziato adotta gli strumenti datigli dal Creatore per conoscere la natura, e le determinazioni della Scrittura. Le apparenti contraddizioni che talora possono rivelarsi sono dovute al fatto che mentre il testo di questa è adeguato alla umana capacità di comprendere, le leggi della natura sono rigidamente legate alla razionalità dell’atto creativo, unico e assoluto nel suo genere.
Che è poi il pensiero della Chiesa. E la fiducia dei pontefici verso il prof. Medi ne è la conferma lapalissiana. Se è vero – come è vero – che non soltanto Pio XII lo volle come rappresentante della Santa Sede nel consesso sopra menzionato, ma sarà anche Paolo VI ad annoverarlo nel 1968“tra i consultori della Città del Vaticano, una nuova istituzione che doveva offrire pareri e suggerimenti alla Pontificia Commissione per lo Stato” della Città medesima. Mentre Giovanni Paolo II lo assumerà come riferimento ai non pochi scienziati che affermano positivamente l’esistenza di Dioper “vedere da quale personale rapporto con Dio, con l’uomo e con i grandi problemi e valori supremi della vita essi stessi siano sostenuti”.
Quando Il Santo Padre affermava ciò, Enrico Medi era scomparso (il 26 maggio 1974) da parecchi anni. Ma il ricordo del suo impegno per l’uomo e per i grandi problemi e valori supremi della vita non si era cancellato. Perché non per vana gloria aveva accettato “l’associazione stretta di attività scientifica, incarichi direttivi negli istituti di ricerca, schieramento politico e cattolicesimo militante», che «lo espose a critiche anche aspre» ( V. De Marco, loc. cit.), ma perché non concepiva un sapere fine a se stesso: la scienza è positiva se serve a migliorare la vita dell’uomo, la politica è un servizio. Ed è in questo ordine di idee che non riesce a sottrarsi alle sollecitazioni per candidarsi alle elezioni e ad accettare incarichi come quello di vice-presidente della Comunità europea dell’energia atomica (CEEA o Euratom).
Quest’ultimo incarico lo motivava molto. Come si evince dalla prolusione pronunciata il 25 gennaio del 1958 invece del presidente, assente per motivi di salute. La quale allocuzione, come dice De Marco, «non fu formale, caratterizzandosi invece per una forte tensione ideale: volto al futuro, palesò uno spiccato spirito europeistico nella linea degasperiana». Convinto come egli era della necessità della utilizzazione della risorsa dell’energia atomica per fini pacifici. Della quale non si nascondeva i pericoli legati alla fissione. Onde auspicava la possibilità che si arrivasse in tempi ragionevolmente brevi all’utilizzo dell’enorme apporto dovuto alla fusione nucleare. Ma la sua speranza si rivelò non abbastanza ben fondata.
L’Euratom, infatti, «non riuscì a decollare verso una politica energetica comune. L’ottimismo dell’idea – un’Europa unita e una scienza agganciata per la prima volta a un potere politico sopranazionale con autonomi mezzi economici, proprio personale e propri strumenti giuridici – si scontrò sempre più con la realtà. Il Medi presentò la lettera di dimissioni da vicepresidente il 7 dic. 1964: le ragioni erano legate alla politica che l’Euratom stava seguendo e che, a suo giudizio, l’aveva allontanata dallo spirito del Trattato di Roma; egli riteneva ormai chiaro che si stava dando maggiore importanza ai contratti verso enti dei singoli paesi che non a un vero proprio piano comune di ricerca, svuotando in tal modo la ragione più profonda dell’esistenza stessa dell’Euratom» (V. De Marco, loc. cit.).
Le conseguenze le stiamo subendo anche adesso. Così come sembra sfumare l’idea di un’Europa unita che era quella auspicata da Enrico Medi, quando (il 10.05.1962 a Roma) egli esclamava: “sembra di vedere il sogno di Carlo Magno di 1150 anni fa! Quando dalla grande, stupenda cattedrale di Aquisgrana lanciava l’appello ai popoli d’Europa per unirsi e fortificarsi negli ideali più grandi del cristianesimo e della romana civiltà”.
Ma proprio per queste speranze deluse il magistero professionale e il messaggio politico di Enrico Medi tornano ad essere attuali più che mai. Come le testimonianze raccolte nel processo per l’accertamento della eroicità della sue virtù, le quali «hanno accertato quanto fosse sensibile ai poveri, ai disagiati, agli indigenti. Con una generosità senza misura: durante la guerra di liberazione dall’occupazione nazista – ad esempio – si era offerto in ostaggio per salvare due persone che stavano per essere fucilate».
GIUSEPPE TERREGINO