Non è senza un motivo, ma per l’evento veramente drammatico di dominio pubblico, che ci torna alla mente la principale ragione del culto di San Sebastiano nella Diocesi di Cefalù. Ricordiamo, infatti, che a Gratteri – secondo il racconto dei più anziani – la venerazione a San Sebastiano era dovuta per invocare la sua protezione dalla polmonite, allora quasi sempre letale data la assoluta mancanza di mezzi di contrasto efficaci quali si sono rivelati e sono stati fino ad ora gli antibiotici. I quali però non sono altrettanto utili nei casi – come nell’attuale epidemia – di infezione virulenta del tutto misteriosa, improvvisa e al massimo grado invadente.


Ma la devozione a San Sebastiano per siffatto tipo di infezioni, che allora venivano accomunate nel termine di peste era alquanto remota. Come si evince dal racconto di Benedetto Passafiume nel suo insostituibile volume De origine ecclesiaecephaleditanae…, edito a Venezia nel 1645. Qui a pag. 32, riguardo a Cefalù, si legge (nella traduzione letterale): «per interessamento del medesimo (priore) è stata acquisita parte delle ossa di San Sebastiano, che in questa chiesa è venerata con grande devozione. … E nel giorno di San Sebastiano, per voto della cittadinanza al tempo della peste, accede (nella chiesa) una processione con l’intervento della Magistratura».
Una ritualità, questa, che– come si legge a pagina 50 del citato volume – veniva praticata, identicamente, nella vicina città di Mistretta, che allora apparteneva proprio alla nostra diocesi. Alla quale continuò ad appartenere fino al 1844, quando «per Bolla del Papa Gregorio XVI (1831-1846) … In suprema militantisEcclesiae specula furono determinate le nuove circoscrizioni delle diocesi siciliane» (Mons. G. Misuraca, Cefalù nella storia, p. 56). E Mistretta, insieme ai paesi del circondario fino al fiume Pollina, venne incorporata nella diocesi di Patti.
Fatto sorprendente, poi, è che una tale modalità devozionale dallo stesso periodo di tempo – fino ad oggi – è praticata anche a Milano, dove a San Sebastiano è stata dedicata una chiesa, costruita nel 1576 per voto espresso durante una terribile pestilenza, della quale è proprietarioil Comune, che provvede a spese proprie alla manutenzione. Al quale Tempio civico il 20 gennaio di ogni anno il Sindaco, il Consiglio comunale e i vigili urbani, dei quali San Sebastiano è stato eletto patrono, sono tenuti a recarsi “con tutti i parati per fare solenne Oblazione” (Cfr. articolo di M. Cecilia Sangiorgi su Il Giornale del 20.01.1986).


La devozione a San Sebastiano nel nostro territorio è antica di almeno quattro secoli ed ha un’origine individuabile nel culto del Santo praticato in ogni parte d’Italia. Le modalità sopra descritte fanno avanzare la congettura di una loro genesi spagnola, essendo, nello stesso tempo a cui si riferisce il Passafiume, comune la dominanza iberica, anche se in forme diverse, sia nel vicereame della Sicilia che nello Stato di Milano.
Sul culto “universale” di San Sebastiano, con epicentro la Basilica omonima sulla via Appia antica, si trovano tanti scritti che sarebbe assurdo volerne parlare in questa sede. Ci sembra interessante, ma solo per curiosità, un breve passo di un brano pescato in internet sul sito di Famiglia Cristiana riguardo alla invocazione del Santo contro la peste: «Narra la Legenda aurea che nella storia dei longobardi si legge di una terribile peste che colpì in particolar modo le città di Roma e di Pavia, e fu rivelato che il morbo non sarebbe cessato se non fosse stato eretto un altare a san Sebastiano, nella chiesa di San Pietro in Vincoli a Pavia. Non appena l’altare fu eretto e consacrato, il morbo finì». «Probabilmente – si legge ancora nel medesimo brano – fu la leggenda del miracolo di Pavia il punto d’inizio di questa devozione».
La ragione di un tale ricorso al nostro Santo potrebbe essere quella che nell’immaginario popolare, quando ancora non si aveva l’idea degli agenti responsabili del contagio, il ricorso all’immagine della frecciata per descrivere l’improvviso e inspiegabile manifestarsi di un morbo epidemico come la peste fosse un retaggio infantile dell’umanità,riconducibile all’epoca di Omero, quando la pestilenza scoppiata nel campo acheo poteva essere ed era attribuita al dardeggiare del dio Apollo, sceso furente dall’Olimpo, con arco e faretra ripiena di frecce, per vendicare l’offesa fatta dai greci al suo sacerdote Crise, che era venuto per richiedere la restituzione della figlia Criseide tenuta schiava da Agamennone. Quando “nove giorni volar pel campo acheo / le divine quadrelle”, stendendo a terra nell’accampamento numerosi animali e molti guerrieri.
Questa, però, è solo mitologia e non ha il minimo senso in riferimento alla venerazione di San Sebastiano, la cui testimonianza è sempre attuale, perché legata a quella scelta la quale nel Vangelo di Giovanni (12, 25) si presenta nell’alternativa: “Chi ama la sua vita la perde; e chi odia la sua vita in questo mondo, la salverà per la vita eterna”. Una scelta radicale tra lo splendore di una carriera brillante a fianco dell’imperatore romano e la croce del Salvatore. Sebastiano ha scelto questa. E non a caso oggi la sua immagine scultorea è attaccata alla parete del presbiterio nella cattedrale di Cefalù, sotto l’abside dove campeggia l’immagine musiva del Pantocratore Re dell’Universo.

Giuseppe Terregino