Viaggio alla scoperta dell’ebraico, la lingua che visse due volte

Scoprire e capire l’ebraico può essere una cosa strana, lontana e eccessivamente specialistica, riservata solo ad alcuni. In realtà questa lingua e questa cultura ci sono vicine più di quello che pensiamo. Molti aspetti possiamo ritrovarli nel nostro inconscio e il loro studio diventa un metodo, un cammino, per trovare proprio una parte di questo inconscio nascosto in noi stessi come nella nostra civiltà.

È un processo analitico per arrivare alla profondità della nostra esistenza, un po’ simile a una psicoanalisi.

Scoprire l’ebraico è un lavoro che apre una porta per arrivare a radici profonde e non comporta necessariamente una premessa religiosa o di fede, perché molti elementi sono semplicemente una base comune della nostra esistenza. Accostarsi all’ebraico è in qualche modo anche un evento comunitario, perché restituisce la “Realtà rimossa per eccellenza” dalla nostra cultura e (per i credenti) dalla nostra fede.

La base di ogni fondamento, il punto di partenza, della cultura ebraica sono le 22 lettere dell’alfabeto che sono, secondo la tradizione, anche gli elementi fondamentali di tutta la creazione.

Quindi ogni lettera dell’alfabeto ha, per così dire, una sua origine, una sua storia, un suo significato ed una sua personalità. Il mistero di ciascuna di queste lettere è inoltre non soltanto nella forma o in ciò che rappresenta, ma anche nella maniera in cui avviene il tracciato della sua scrittura; così “la parola”, che è alla base di tutta la genesi dell’universo, si è conservata proprio in queste lettere ed ogni lettera a sua volta ripete il miracolo della creazione stessa ogni volta che viene riprodotta e ricomposta.

Secondo la Bibbia le tavole della legge sono consegnate a Mosè dopo che sono state letteralmente “scritte con il dito di Dio”. Ebbene bisogna riflettere che dunque siamo, secondo la tradizione, davanti a un dio che non solo “parla”, ma che anche “scrive”. E scrive usando quelle lettere con cui è leggibile l’intera Bibbia (ovvero “Tanach”, secondo il termine ebraico), quelle lettere che per ogni ebreo devono essere necessariamente dei segni divini. Questi stessi manifestazione della divinità o (per chi non sente l’obbligo di una fede precisa) di un pensiero, di una spritualità superiore.

Le prime due lettere dell’alfabeto ebraico (appartenente storicamente agli alfabeti semitici) sono Aleph e Beth e per conseguenza tradizionalmente con la parola “alephbeth” si intende tutto l’alfabeto. In seguito i greci, una volta importati i segni dai fenici, li chiameranno “alphàbetos”, proprio sull’esempio della tradizione mediorientale.

Oggi paradossalmente l’ebraismo è tornato di moda. E non nel senso che si può credere. Nel senso purtroppo che stiamo nuovamente ricadendo negli errori (orrori) storici dell’antisemitismo. Ma da sempre l’antidoto alla cultura primitiva della violenza e dell’intolleranza è la conoscenza. E allora se l’ignoranza del terzo millennio ci vuole imporre tutta la sua inconsistente arretratezza, il modo migliore per reagire è mettersi a studiare. E studiare insieme.

Qualcuno difende con ottusa convinzione il proprio antisemitismo (in realtà un’incapacità piuttosto generica di sapersi confrontare un po’ con tutto)? Bene. Noi reagiamo studiando l’ebraico.

Scopriremo insieme le parole chiave del bellissimo racconto della ‘genesi’, ovvero della ‘bereshìt’. E lo faremo non da… rabbini, ma da laici, da innamorati della cultura e da persone di fede, pensando che il sapere è a suo modo anche una fede religiosa. Una grande fede.

E’ probabile che questo potrebbe essere il modo più bello, ma anche più provocatorio (visti i tempi) e più spregiudicato, di vivere i “giorni della memoria” . Abbiamo stuzzicato abbastanza la vostra Curiosità? Fatevi avanti dunque, vi aspettiamo  domenica 19 gennaio presso Spazio Scena, via Abruzzo  10 a Castebuono, insieme al Prof. Camillo Palmeri e cogliamo l’occasione per ringraziare Annamaria Guzzio e Spazio Scena per avere condiviso l’evento.

redazione

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