La notizia su madonielive di una Grotta Grattara assunta al ruolo del romano Campidoglio per la comunità gratterese, residente o emigrata, fa sussultare il “fanciullino” nascosto in ogni individuo di tale comunità, perché è verso quel punto della corona montuosa dell’antico borgo sottostante che si rivolge inevitabilmente il suo sguardo quando ne è prossimo o il pensiero se ne è lontano. Il mito della Vecchia, infatti, è sempre stato per noi il modo più singolare e autentico di tradurre in immaginario collettivo l’aspetto migliore, perché poeticamente infantile, dell’anima popolare. Quel “fanciullino”, per dirla con Pascoli, che si annida in ogni uomo e che solo ai poeti è donato di esternare.
Ai non poeti, però, non dovrebbe essere concesso di operare forzature sceniche che in qualche modo possano far scadere nella prosaicità, prevalentemente per ragioni mercantili, un mito che non ammette disvelamenti senza perdere tutta la sua carica vitale, la quale sta solo nella sua natura fantastica, tanto più coinvolgente quanto meno legato a personaggi reali in carne ed ossa.


Soprattutto se ad essere coinvolti vengano chiamati proprio i bambini. Ai quali nel nostro caso la pubblicità si rivolge per invitarli a saltare dal letto con lo scopo di assistere alla sceneggiata dell’asino cavalcato da una “Vecchia” palesemente finta attorniata da attori goffamente agghindati a figure d’altro tempo.
Senza dire che l’invito ai bambini che stanno dormendo a svegliarsi per rendere omaggio all’augusta cavallerizza dispensatrice di doni è proprio il contrario di quello che si voleva quando la Vecchia aveva una vita indiscussa nell’anima popolare dei piccoli e, paradossalmente, anche degli adulti; i quali non fingevano affatto quando ne svolgevano le veci, ma restavano coinvolti al punto di sentirsene realmente gli emissari privilegiati.
I bambini, invece, dovevano rimanere immancabilmente rincantucciati nel sonno più profondo e, lungi dal saltare dal letto, erano tenuti a rispettare la consegna di non tentare di sbirciare le mosse degli adulti indaffarati nel nascondimento dei doni. Se i tempi sono cambiati ed oggi non ha più senso nutrire di favole di un certo tipo la fantasia dei fanciulli, non mi sembra tuttavia opportuno tentare di perpetuare la memoria di un mito col metterne a nudo, svuotandolo così di contenuto, la realtà che se ne voleva ammantare. D’altra parte non ha senso spegnere la tendenza immaginifica dei piccoli e peggio ancora sarebbe appagarla con personaggi vacui o malefici.
La domanda che sorge spontanea a questo punto è quella che non può mancare di essere fatta in un tempo di consumismo sfrenato, quando anche le più importanti cerimonie religiose vengono fatte sopravvivere solo perché possono essere trasformate in sagre folcloristiche: ma l’inquilina della Grotta Grattara è ancora viva? Come lo era quando nessuno, e soprattutto nessun bambino l’aveva mai vista?
Se no, vada pure bene sostituirla col più consumistico Babbo Natale economicamente più redditizio. Ma il suo mito è preferibile che non sia travisato o addirittura adulterato. Si abbia rispetto per quel mondo in cui essa viveva sedula nella Grotta Grattara, indaffarata nell’approntare per undici mesi i doni da distribuire ai piccoli gratteresi, finché il cupo ululato del corno all’imbrunire di ogni sera dicembrina non le annunciava che il tempo era ormai compiuto e l’attesa infantile era durata fin troppo.
Che il suo ricettacolo acquisti la sacralità laica di quello della lupa capitolina, va proprio bene, perché esso è stato il rifugio dell’anima infantile e il marchio dell’identità gratterese. Purché la Vecchia si immagini sempre viva, anche se irraggiungibile perché volata nell’iperuranio.

Giuseppe Terregino