L’aggettivo di nobile associato a quello che si è ridotto a un minuscolo comune (forse anagraficamente il più piccolo) delle Madonie è sembrato, anche a noi gratteresi, un controsenso. Tanto che si era soliti tradurre il “TUERE” del blasone gentilizio, posto in mano – secondo la tradizione – ad uno degli angeli presenti nella edicola delle Sante Spine come invocazione protettiva, con l’amara constatazione di “TU ERI”. Quasi a richiamare un passato glorioso per attenuare la tristezza dello stato presente.
La frase completa, nella forma originale, così suonava: “TUERE NOBILE GRATTERIUM”, che in italiano va tradotta nella preghiera: proteggi il nobile oppido di Gratteri. Oppido perché città fortificata. Con la precisazione che l’aggettivo nobilis (nobile nel genere neutro) in latino non ha il senso da noi attribuito di aristocratico, ma piuttosto quello dinoto, celebre, rinomato, ecc. . Nel quale senso ci sembra pertinente al nostro paese. Perché in passato non dovette essere quel nascosto, invisibile villaggio quale viene descritto dal noto poeta di origine gratterese, Giuseppe Ganci Battaglia, nel suo sonetto (uno dei più belli della poesia siciliana) sul suo paese paterno: ammucciateddu ‘ntramuntagni e sciari.
Al contrario, infatti, il Passafiume, autorevole storico cefalutano, famoso per avere tracciato il percorso della Diocesi di Cefalù dalle origini fino alla data (1645) del suo prezioso volume sul tema, al volgere dello sguardo sulla parte occidentale della Diocesi, extat, egli dice, Oppidum, Berillo nobile,Gratteriumnuncupatum. Ove, più che sull’aggettivo nobile, in questo caso proprio nel significato di famoso (per il Berillo), ma sul verbo extat (indicativo del verbo latino extare), che significa “spicca” o s’impone alla vista, sta l’importanza attribuita al nostro paese. Il quale era allora il capoluogo (e per questo motivo degno di attenzione) di una baronia di notevole peso nella Sicilia governata di fatto dalle famiglie feudatarie, delle quali quella dei Ventimiglia non era certamente di minore lustro.
Una baronia, la nostra, nata come frazione della contea di Collesano, a sua volta sorta da una divisione della contea di Geraci, che era via via cresciuta in prestigio con l’aggiunta di due titoli, uno baronale (di Santo Stefano di Quisquina) e uno principesco (di Belmonte). Di essa la sede di Gratteri era stata prima unica e, dopo le dette aggiunte, privilegiata come residenza post mortem. Di cui sono testimonianza visibile la lapide prossima all’altare maggiore della chiesa di Santa Maria di Gesù (detta del Convento) e le due tombe presenti dietro l’altare maggiore della Matrice Vecchia, nelle quali riposano le spoglie della baronessa Maria Filangeri e del nipote Gaetano (principe di Belmonte), assai benvoluto dai gratteresi, al quale si fa risalire la fondazione del paese di Lascari.
Di quest’ultimo (scomparso nel 1724), ci piace ricordare il ruolo avuto, in quanto barone di Santo Stefano e quindi signore del luogo, nella edificazione del santuario a Santa Rosalia nella terra della Quisquina, dove la vergine palermitana si era rifugiata, essendo il padre signore di quella terra, trovando – secondo il lessico di Camilleri – «il posto ideale per preghiere, contemplazioni e macerazioni senza aviri un’anima criata torno torno». (Le pecore e il pastore, Sellerio, 2007).
Un richiamo questo che ci dà in certa misura l’idea del passato prestigio, pur nello stato servile di un contesto feudale,di un paesello oggi ritenuto insignificante. Un altro segno più rimarchevole è quello di una via di Palermo intitolata a Giuseppe Ventimiglia, principe di Belmonte, del quale si legge in Wikipedia che in qualità di «membro del Parlamento del Regno di Sicilia, collaborò validamente con Paolo Balsamo e suo zio, Carlo Cottone principe di Castelnuovo, a migliorare la qualità della vita dei siciliani ponendo fine al feudalesimo». Una menzione, questa, che dà la misura del potere politico dei baroni di Gratteri anche se sotto altro titolo più prestigioso.
Ma Gratteri non è stato solo il capoluogo della Baronia dei Ventimiglia. Prima di questo ruolo il paese non dovette essere del tutto sconosciuto se è vero – come è vero – che fu scelto dal primogenito di Ruggero II come sede, nel suo territorio, di una abbazia, quella dei Premonstratensi, atta a sancire, per le peculiarità di questo ordine monastico apprezzate dal pontefice romano, il riconoscimento da parte del papa Innocenzo II di Ruggero come re di Sicilia, avallando così, alla luce dei nuovi fatti acclarati dal trattato di pace di Mignano nel 1139, quella incoronazionein precedenza (1130) ottenuta per mano dell’antipapa Anacleto II.Tale evento cambia sostanzialmente il ruolo di Ruggero II nello scacchiere mediterraneo, dando una svolta significativa a quello che viene definito il Cammino dei Normanni da Cefalù a Monreale, nel quale – come abbiamo detto in altra occasione – l’abbazia di San Giorgio in Gratteri oltre che singolare nel suo genere, sarebbe, se ci fosse la volontà politica di far valere un tale titolo, da considerarsi una ineludibile pietra miliare.
Può sembrare esagerato. Ma l’evento anzidetto garantisce più d’ogni altro l’aggettivo di “nobile” nel senso latino del termine con riguardo al paese di Gratteri, perché lo pone come punto di riferimento ineludibile non della storia locale o circondariale, ma della grande storia dell’Europa.
Altro punto significativo di un tale attributo è l’avere esso dato i natali ad un umile fraticello, Padre Sebastiano Majo, il quale in un momento drammatico della storia della Chiesa, lacerata dalla riforma protestante e travagliata al suo interno da una indifferibile opera di radicale rinnovamento, seppe fare una scelta destinata ad avere conseguenze non irrilevanti anche in sede locale se un senso ha avuto, come certamente l’ha avuto, l’avere egli abbracciato da protagonista in Sicilia il lato più serafico della riforma dell’ordine francescano e fondato un convento dei frati minori riformati (detti poi cappuccini) in quello che era stato un cenobio benedettino, portando a Gibilmanna anche la devozione a San Gregorio, già coltivata a Gratteri nella chiesa di San Pietro, consacrata – secondo la testimonianza del Passafiume – proprio dallo stesso santo prima della sua elezione al soglio pontificio.
In questo caso Gratteri come cittadinanza c’entra, perché – come ha fatto rilevare– il Prof. G. Sottile «le pagine dedicate al Fondatore del Convento di Gibilmanna, P. Sebastiano, sono un doveroso tributo a un concittadino tanto umile quanto illustre, ma pure sottolineano lo spessore di una fede, che in P. Sebastiano poté esprimersi in un modo così eroico perché l’ambiente se ne era compenetrato»
Ecco il senso più vero di quel “nobile” riferito a Gratteri, perché legato a una fede di cui l’ambiente si era compenetrato. Speriamo che non se ne perda la memoria.

Giuseppe Terregino