A chi non è capitato, durante un trasloco o rassettando degli armadi, di trovare una vecchia lettera d’amore, una schedina mai giocata, un’antica rivista, un quaderno o il libro delle elementari… Oggetti personali che si pensava di aver smarrito per sempre, cose appartenute ai nonni o a un’anziana zia ricompaiono all’improvviso a ridestare ricordi del passato che all’istante riaffiorano. Qualcuno ha persino ritrovato delle antiche tessere annonarie del 1943, emesse durante il fascismo dagli uffici municipali di Petralia Sottana.

Entrate in uso tra la fine degli anni ‘30 e gli inizi del ‘40 del secolo scorso le carte annonarie segnarono la vita degli italiani nei terribili momenti della dittatura fascista e della seconda guerra mondiale, rimanendo in vigore fino al 1949.

Si trattava di schede individuali con un certo numero di bollini prestampati che, di volta in volta, venivano utilizzati per l’acquisto del vestiario, per chi poteva permettersi un abito nuovo, e di alimenti di prima necessità. Chiamate anche tessere della fame in quanto costringevano la popolazione a razionalizzare l’alimentazione quotidiana.

A seconda della fascia d’età il colore della carta  cambiava; erano verdi per i bambini fino a otto anni, azzurre dai nove ai diciotto anni e grigie per gli adulti.

L’Annona, così si chiamava l’ufficio municipale che consegnava le carte, a seconda delle riserve di magazzino, fissava le razioni di cibo che ciascun individuo poteva acquistare dal commerciante presso cui si era iscritti o si avesse fatto preventiva della merce.

La “Carta Annonaria Individuale per l’acquisto dello zucchero, dei grassi e del sapone”, consentiva di comprare il sapone da bucato, lo zucchero e i grassi di maiale; con la “Carta Annonaria per il Pane e i Generi da Minestra” si potevano acquistare rispettivamente il pane o la farina, invece il tagliando del generi da minestra dava diritto all’acquisto di pasta o riso.

Ciascuna tessera aveva una validità prestabilita, in genere quattro mesi, ad esempio da novembre del 1942 a febbraio del 1943. Con l’apposita carta annonaria l’acquirente intestatario, o chi per lui, si presentava nei giorni prestabiliti dal fornitore prescelto e, contrassegnando l’apposita cedola di prenotazione, s’impegnava per l’acquisto dei beni necessari al proprio uso e consumo. Il commerciante che avrebbe fornito i beni da acquistare poneva la propria firma e/o il timbro della sua ditta nell’apposito spazio precedentemente contrassegnato e s’impegnava (si obbliga) a fornire la merce richiesta, quindi ritagliava la cedola di prenotazione che gli sarebbe servita per ritirare la merce all’ingrosso.

A Petralia Sottana,  il magazzino dell’ingrosso, che si trovava nell’attuale via Garibaldi, all’uscita del paese in direzione Fiumefreddo, era gestito dal sig. Antonio Cappuzzo, l’unico ad essere provvisto di camion con cui a Palermo portava la merce da fornire ai vari dettaglianti. Per i generi alimentari la maggior parte delle tessere annonarie era gestito dal sig. Giacomarra Calogero  poi gestito dal figlio Mario ed era altresì lo spaccio autorizzato per i militari e tutte le forze di pubblica sicurezza.

Tanti arrivavano dalle frazioni vicine per acquistare nei negozi petralesi che a quei tempi erano ben forniti e non temevano la concorrenza dei grandi centri commerciali.

Ciascun fornitore, prima di vendere i prodotti ritagliavano il buono di prelevamento relativo alla merce richiesta, così da dimostrarne l’avvenuta consegna agli uffici comunali competenti. C’era tuttavia il rischio di smarrire i suddetti tagliandi e rimetterci di tasca, ma per ovviare a questo inconveniente, qualcuno pensò bene di apporli su un foglio che poi avrebbe consegnato agli uffici municipali, in modo più chiaro e organizzato. In mancanza di colla, l’ingegno e la capacità di adattarsi permise di acuire l’ingegno e per attaccare le suddette cedole si usava impastare la farina, recuperata da quella cauta dai sacchi, e un po’ di miele. Una peculiarità dei tempi è la vendita allo sfuso di quasi tutti i prodotti poiché non era consuetudine l’uso dell’imballaggio, se non con della carta grezza all’istante della vendita diretta.

La razionalizzazione del cibo durò per alcuni anni anche nel periodo post bellico, ma il boom economico era in arrivo e l’Italia della ricostruzione si era già rimboccata le maniche per il cambiamento.

ALESSANDRO MACALUSO