Riflettiamo sul male e il progressivo sbriciolamento dei valori

Tra le cose più importanti che bisognerebbe imparare sin da piccoli nel processo educativo è saper discernere il bene dal male, che non è affatto un processo naturale come sosteneva Kant.
La capacità di discernimento la si impara attraverso l’educazione, attraverso il rispetto delle regole. Ma in un mondo come il nostro, dove vige sempre di più l’anarchia delle regole, sembra sempre più difficile acquisire questa capacità di discernimento.
Le cronache di questi giorni ci hanno sottoposto a un martellamento mediatico relativo a continui casi di femminicidio e di violenza sessuale e domestica perpetuata sulle donne e bambini vittime di quella che la Arent definì “la banalità del male” è davvero scioccante tutto quello che si sente, quello che preoccupa non è solo il gesto in se e per sé, quanto l’atteggiamento ad esso connesso, di spavalderia, derisione, burla nei confronti delle vittime, come nel caso della violenza della ventiquattrenne subita nell’ascensore della Circonvesuviana ad oggi ancora al vaglio degli organi competenti per il reale accertamento della verità dei fatti narrati.
Al di là del caso di cui ancora si parla, ma che ancora non ha contorni chiari, quello che resta del racconto della ragazza , ma anche di altri casi è: “Ridevano, scherzavano durante gli atti” cosi la ragazza racconta ai cronisti .
Le indagini stanno portando altre verità , di certo è comune nei racconti delle vittime al di là del caso specifico, dai contorni ancora incerti come detto sopra, che i racconti di violenza sono raccapriccianti e non si può rimanere indifferenti.
Chi lavora per aiutare le vittime, dopo l’evento traumatico racconta del sentimento di vergogna che molte sperimentano, rispetto all’immagine di sé che rimandano agli altri, un corpo e mente violata.
L’intensità del vissuto può diventare insopportabile e sfociare in rabbia, disperazione, depressione, sensazione di essere oggetto dello spettacolo altrui, tutti sentimenti profondi sui quali bisogna fare un lavoro incredibile per gestirli, ci vuole pazienza, tempo ed anni di elaborazione.
Bene, la domanda che ci poniamo è la seguente: per il carnefice non serve solo la “certezza della pena”, ma la “certezza delle vergogna” quello stesso sentimento di umiliazione che è stato imposto dal carnefice, incurante dell’umanità dell’altro essere umano.
Dovrebbe poterla provare anche lui/lei , cos’è la vergogna, ossia provare un senso di indegnità, disapprovazione della sua condotta, tale da provocare una reale sensazione di disagio che solo la pena della reclusione non genera.
Servirebbe un lavoro psicologico profondo di ravvedimento del proprio percorso di vita radicale, con azioni mirate ed incisive, dall’altro canto occorre supportare le famiglie nel processo di crescita dei giovani e tornare a tutelare i sentimenti oggi sbriciolati dietro incapacità relazionali, incompetenza comunicativa e frammentazione dei valori di base.
Non possiamo rimanere passivi dinnanzi a questo disastro affettivo che ci stà consumando, che ciascuno per la propria competenza faccia ciò che deve fare.
Non dobbiamo permettere il perpetuarsi dello snaturamento della vita umana, o l’uso del male come uso disordinato del libero arbitrio.

Sabrina Miriana

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