“Essere madre sembra ancora una colpa”, ecco le storie di donne discriminate nel lavoro

C’è Valentina che occupa un ruolo di primo di responsabilità in una multinazionale del commercio, ma è madre di un bimbo ed è costretta a richiedere un demansionamento e un part-time. Giovanna, addetta alla grande distribuzione, ha un contratto pesante in virtù della sua anzianità di servizio e ha un bimbo di 4 anni: su di lei iniziano pressioni fino a quanto viene trasferita da Palermo a Vittoria, nel Ragusano, cade in depressione e viene licenziata. Maria è dipendente di una grande catena nazionale dell’abbigliamento e si è vista negare i permessi per l’allattamento. Storie di ordinaria discriminazione quelle raccontate dalla Uiltucs Sicilia nel giorno della festa delle donne. Marianna Flauto, segretario generale del sindacato, spiega che “ancora oggi la reale uguaglianza tra uomini e donne risulta essere un traguardo non ancora raggiunto. Le donne rappresentano una grande componente nel settore del commercio  e, per quanto la società sia mutata in questi decenni, e malgrado  tutte le forme di tutela  che il sindacato ha fortemente voluto, continuano a registrarsi casi di discriminazione contro i quali la Uiltucs combatte ogni giorno senza sosta”. Flauto spiega che “quotidianamente  assistiamo legalmente donne, madri lavoratrici che portano il fardello di dover fare i conti con il difficile tema della conciliazione dei tempi di vita–lavoro e dell’inadeguatezza di servizi a sostegno della famiglia.  Constatiamo giornalmente che l’essere donna  è di per sé una discriminazione, ma essere una lavoratrice madre è una grave “colpa”. Per le lavoratrici  comunicare la  gravidanza al proprio  datore di lavoro ancor oggi è fonte di ansia, ritornare dalla maternità significa troppo spesso essere considerata come una persona che rientra dalla malattia, praticamente un “peso” per il datore di lavoro  che non riesce  a comprende e accettare che la propria dipendente debba  lavorare meno ore perché in allattamento” . E racconta la storia di Valeria, una addetta alle vendite di una grande multinazionale, assunto a tempo determinato, che per non aver accettato le “particolari” attenzioni del direttore di filiale non ha avuto riconosciuto la tanto agognata assunzione. Si è così rivolta al sindacato ed è riuscita a ottenere la stabilità ma solo attraverso una battaglia legale. “Se vogliamo davvero superare le differenze di genere – conclude Flauto – è necessario cambiare alla base, educare le nuove generazioni al rispetto dell’altro, infondere principi di uguaglianza già dalla famiglia, attraverso la scuola, il mondo del lavoro, la politica e il sindacato”.

Redazione

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