I neofascisti malmenano giornalisti dell’Espresso ad una manifestazione

Il 7 gennaio si commemora ogni anno la morte di Franco Bigonzetti e Francesco Ciavatta, del Movimento Sociale Italiano, uccisi davanti alla sede dell’MSI di Acca Larentia il 7 gennaio 1978. Una commemorazione che vede l’appassionata partecipazione di coloro che ancora oggi ritengono un dovere ricordare al cimitero del Verano “tutti i camerati assassinati sulla via dell’onore”.

Questo fatto diventa notizia perché:

  • La manifestazione viene organizzata anche da “Avanguardia Nazionale”, movimento ufficialmente sciolto dal Ministero dell’Interno nel 1976 dopo che il Tribunale di Roma, nello stesso anno, aveva condannato gran parte dei dirigenti e degli attivisti di Avanguardia Nazionale per ricostituzione del disciolto partito fascista;
  • Alla manifestazione di ieri è presente il capo di Forza Nuova Roma, Giuliano Castellino, nonostante sia un “sorvegliato speciale” dal 28 settembre 2017 (i giudici hanno firmato il decreto su richiesta della questura), dopo che con altri militanti del movimento neofascista ha cercato di bloccare la consegna di una casa popolare ad una famiglia eritrea, con scontri con le forze dell’ordine e tre poliziotti feriti.
  • Federico Marconi e Paolo Marchetti, rispettivamente cronista e fotografo de L’Espresso, presenti alla manifestazione per documentarla, vengono insultati, strattonati, schiaffeggiati dai neofascisti perché «L’Espresso è peggio delle guardie»;
  • Matteo Salvini, Ministro dell’Interno, commenta così i fatti: “Il posto giusto per chi mena le mani è la galera”.

Quelli appena elencati sono fatti inquietanti e prima della doverosa solidarietà ai giornalisti (di qualunque testata essi siano) dobbiamo aggiungere un altro, grave, “fatto” con le parole di una recente lectio magistralis di Michela Murgia: “La democrazia è l’unico sistema di governo fondato sul dissenso, o più propriamente sul conflitto, che non è una derivata impazzita ma ne è il fondamento. Per cui cercare di azzerare i conflitti significa azzerare i principi democratici. Ma se in un sistema democratico è normale, se non addirittura auspicabile, avere degli avversari, meno normale invece è avere un nemico. Perché se l’avversario sta comunque dentro la dialettica del riconoscimento (in pratica riconosco che tu possa avere un’idea diversa dalla mia e anche che quella idea la combatterò), il nemico invece incarna la soggettività da espungere dal sistema. Inoltre, se l’avversario ha sempre un nome e un cognome: può essere il vicino di casa, il compagno di partito, una persona con cui si hanno tante cose in comune, il nemico invece è sempre altro, spesso una personalità collettiva, una categoria.Quindi, qualunque leader costruisca la propria necessità politica sulla narrazione del nemico, esterno o interno, mette in atto una dinamica antidemocratica, fascista. Perché il fascismo ha una sola modalità per porsi: opporsi. Il nemico gli serve. E l’atteggiamento nei suoi confronti non è il dissenso, ma la distruzione, la sua rimozione, con o senza ruspa”. E così è qualunque dittatura, anche quelle che sono state dei paesi dell’est Europa.

Ancora una volta, quindi, il senso della “bruttezza” dei fatti accaduti ieri non è soltanto contro la dignità e l’incolumità di seri professionisti dell’informazione: ieri, ancora una volta, abbiamo celebrato al Verano l’ennesimo funerale alla nostra Civiltà, perché “si odia in maniera sempre più aperta e sfrenata. Troppo spesso senza alcuna vergogna. L’esibizionismo del risentimento ha ormai ottenuto una rilevanza pubblica, addirittura politica”. Perché “si tratta di un risentimento collettivo di natura ideologica”, come ci ricorda la saggista e giornalista tedesca CarolinEmcke.

E lo affermiamo con le parole di Domenico Delle Foglie: “L’odio è un’onda sotterranea che percorre il tessuto sociale, attraversa le famiglie, risale per le classi sociali, si insinua nelle relazioni personali e affettive, convoglia desideri celati di violenza gratuita, avvelena i rapporti fra i popoli, progetta di erigere muri contro i «diversi», utilizza spudoratamente i totem della razza e del genere. Ma soprattutto ripudia la solidarietà, cancella le amicizie, svaluta la cultura, strumentalizza la relazione, banalizza il corpo, boicotta la fraternità. E detesta la storia e la memoria, altrimenti…C’è dunque una dimensione personale dell’odio che si intreccia profondamente con quella sociale. Una miscela esplosiva e soprattutto imprevedibile. Può abbattersi come una ghigliottina su chiunque e senza preavviso.

Non è un caso perciò che un’antropologa come Amalia Signorelli parli, con preoccupazione, di «bisogno sociale dell’odio». Infatti, in un mondo regolato dalla logica del consenso a basso prezzo e dalla legge mercantile del dare-avere è facile scorgere la volontà e l’azione di chi alimenta quel bisogno per i propri fini. Un popolo ha bisogno di odio? Solo una personalità disturbata potrebbe fare un’affermazione del genere. Ma… il marketing della politica e anche di certa comunicazione ha scoperto la forza esplosiva dell’odio che fa crescere il consenso politico (un nemico da impiccare fa sempre comodo) e quello comunicativo (cosa non si farebbe per l’audience…). Ecco, è giunto il momento di dire a tutti i burattinai, nessuno escluso, che abbiamo capito il loro gioco pericoloso. E che la smettano di usare i poveri contro altri poveri. Gli anziani contro i giovani. Gli uomini contro le donne. Gli elettori contro gli eletti. I settentrionali contro i meridionali. La Piazza contro il Palazzo. Contro, sempre e solo contro.”

E proprio l’odio ha armato la mano di chi ha ucciso Franco Bigonzetti e Francesco Ciavatta, quello stesso odio di chi oggi li commemora: mani schierate in opposte fazioni (forse), ma grondanti di identica disumanità.

Cari Federico e Paolo, i vostri lividi sono ferite alla libertà di tutti: grazie per il vostro coraggio, speriamo ci serva per passare anche noi, italiani civili, “dalle parole ai fatti”.

Democratici per Castelbuono

redazione

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