Ben nota come crocevia di diverse culture e popolazioni, sin dal Medioevo Palermo è stata una città in cui i giochi di carte  erano particolarmente amati e venivano praticati ovunque, all’interno delle locande ma anche in piazze e vicoli. Quest’antica passione è strettamente legata alla figura dei “cartari”, gli artigiani che producevano appunto le carte da gioco.

L’arrivo delle carte da gioco a Palermo

L’introduzione delle carte nel capoluogo siciliano risale proprio al Medioevo quando, probabilmente, alcuni viaggiatori provenienti dall’Oriente portarono per la prima volta in città questa novità. L’impatto sulla popolazione locale fu dirompente, tanto che gli stessi palermitani nel giro di poco tempo cominciarono a dedicarsi alla produzione artigianale delle carte da gioco: si cominciarono infatti ad attrezzare sin da subito laboratori per la produzione di carte e tali prodotti divennero in breve tempo uno dei passatempi preferiti sia nei ceti popolari che in quelli più elevati.

Nacque proprio così la figura dei “cartari“, che nel ‘300 si stabilirono per lo più nella zona dell’antico mercato alimentare dei Lattarini. I cartari erano artigiani a tutto tondo, che non si limitavano alla sola produzione delle carte da gioco, ma provvedevano alla loro ideazione, al disegno e alla successiva stampa, lavorando dunque come veri e propri “artisti” del settore.

Visto il successo delle carte come gioco da praticare sia in casa che fuori, la categoria dei cartari conobbe una crescita costante per diversi secoli, tanto che all’inizio del ‘700 la loro importanza era tale da far sì che questi artigiani sfilassero nei cortei pubblici subito dietro i senatori. Fu proprio questo il periodo più importante per i cartari, dalla cui attività presero nome anche diversi punti di interesse della città come il Piano dei Cartari, ossia l’attuale Piazza Borsa, la Via dei Cartari, collocata tra Via Paternostro e il Piano dei Cartari, e infine l’Arco dei Cartari.

Liborio Guida, Raimondo Pirrone, Pietro Meli, Salvatore Franco, sono solo alcuni dei nomi di produttori di carte più noti del periodo, maestri artigiani che hanno saputo legare la propria attività a un’importante fase storica della città di Palermo, diventando compagni della quotidianità di un’intera città, senza distinzioni sociali o economiche.

Il divieto imposto contro i giochi nel 1753

Molti giochi vennero tuttavia proibiti a Palermo durante il XVIII secolo: con una legge del 1753, infatti, si considerò il gioco come “dannoso al quieto vivere de’ popoli” e causa addirittura di furti, omicidi e altri delitti. Il divieto interessò non solo le carte ma ogni altro tipo di gioco, come i dadi: passatempo che affonda le sue radici nell’antichità, dalla Mesopotamia all’Antica Roma, i giochi con i dadi erano infatti un altro divertente svago per la gente comune di Palermo e non solo, tanto che nel centro storico vi era un vicolo denominato proprio “dei Dadi”.

I divieti e i rischi a essi connessi non arrestarono dunque la passione dei palermitani per il gioco, e la produzione di carte e dadi di osso continuò a essere proficua. Contemporaneamente, restò forte l’interesse della popolazione per un altro particolare passatempo, i tarocchi, che venivano utilizzati non solo per leggere il futuro ma anche per praticare particolari giochi.

L’importanza dei tarocchi siciliani

Rispetto ai tarocchi comunemente utilizzati dai “veggenti”, la versione siciliana si differenzia sotto diversi punti di vista. In primis, varia il numero di carte, che nei tarocchi siciliani sono 63 contro le classiche 78 carte. Inoltre, le figure rappresentate non corrispondono e, secondo gli studiosi, gli aspetti simbolici che vi sottostanno sono differenti.

Al di là di quella che può essere l’opinione soggettiva per un mondo particolare come quello della cartomanzia, per comprendere l’importanza dei tarocchi siciliani basta osservare come queste carte abbiano destato nei secoli l’interesse di studiosi, storici e non solo. Il filosofo Michael Dummett, per esempio, ha pubblicato nel 1974 un testo dedicato proprio ad esse, approfondendo l’osservazione delle figure e delle regole del gioco, che tanto si differenziavano dagli altri tarocchi trovati in giro per l’Europa.

Per una città come Palermo, per fortuna ancora così legata alla sua storia e alle sue tradizioni, l’opera fu un modo per recuperare l’interesse per un gioco ormai quasi dimenticato, da riscoprire per la sua valenza sociologica e far conoscere anche alle nuove generazioni, che attraverso questa e le altre usanze qui raccontate possono entrare in contatto con le proprie origini e comprendere meglio ciò che la loro città ha da raccontare.